Eppure, ancora oggi, tendiamo a confondere il disagio psichico con la malattia mentale, vissuta “come qualcosa da nascondere e di cui vergognarsi” e molte persone credono che rivolgersi ad uno psicologo per una consultazione, un sostegno psicologico o una psicoterapia, sia necessario solo in presenza di gravi psicopatologie.
Questa errata convinzione contribuisce ad alimentare diffidenza e vergogna in chi sente di aver bisogno di un aiuto in un momento particolare del ciclo di vita (un lutto, una separazione, la perdita del lavoro, le difficoltà incontrate durante la crescita dei figli, ecc) e ciò fa sì che si rivolgano ad uno psicologo dopo mesi o addirittura anni di sofferenza, vissuta in piena solitudine.
In una società come la nostra, che spinge all’efficienza e all’autonomia, dove sembra non esserci spazio per i momenti di difficoltà, si è costantemente stimolati a soffocare e negare i propri legittimi e naturali limiti e le proprie emozioni/sensazioni. Al contrario, in una vita sufficientemente sana, è necessario ascoltare anche la propria sofferenza, le proprie difficoltà, il dolore o la confusione.
Ognuno ha delle risorse innate che possono consentire di affrontare e superare questi momenti “difficili”, ma tali risorse in alcuni momenti della propria vita, benché presenti, possono non essere percepite, al punto da non essere immediatamente disponibili, in caso di necessità.
Nel nostro paese, la prima richiesta d’aiuto e di ascolto grava spesso su figure come quella del medico di famiglia, unico punto di riferimento stabile in un mondo che si muove sempre più velocemente. Ma nella richiesta che giunge al medico di base non sempre il disagio è esplicito e verbalizzato.
Medico e psicologo possono e devono operare in sinergia: almeno il 35% delle richieste che arrivano ai medici di famiglia sono di natura psicologica. Questo dimostra l’esistenza di una sempre maggiore domanda di assistenza psicologica che nella vita quotidiana non corrisponde ad un’adeguata risposta da parte delle istituzioni .