Evidenze neuroscientifiche degli effetti benefici della mindfulness

La ricerca a partire dagli anni ’90 supporta ampiamente l’affermazione che la mindfulness, ampiamente praticata per ridurre lo stress e promuovere la salute, esercita effetti benefici sulla salute fisica e mentale e sulle prestazioni cognitive. Recenti studi di neuroimaging hanno iniziato a scoprire le aree e le reti del cervello che mediano questi effetti positivi.

Nel 2015 Tang e i suoi collaboratori hanno pubblicato una revisione meravigliosa della letteratura scientifica sulla Mindfulness sulla rivista Nature. Quando un lavoro arriva su Nature vuol dire che i dati sono profondamente consistenti sulla base di quello che è l’approccio occidentale alla scienza.

Questa consistenza dei dati è raccontata da tutta una serie di studi, in particolare sulla Mindfulness (MBI e MBSR), che vedono la mindfulness come un promotore di  fondamentali modificazioni funzionali e strutturali del cervello che, a loro volta, si associano a tre domini psicologici specifici: il controllo dell’attenzione, la regolazione delle emozioni e l’autoconsapevolezza (diminuita elaborazione autoreferenziale e maggiore consapevolezza corporea).

Negli studi MRI funzionali e strutturali che sono stati pubblicati fino ad oggi, in particolare quelli basati su studi longitudinali, randomizzati, controllati con gruppi di controllo attivi e meta-analisi, la ACC, PFC, PCC, insula, striato dorsale (caudato e putamen) e l’amigdala sembrano mostrare cambiamenti coerenti associati alla meditazione mindfulness.

Consideriamo queste aree come le regioni centrali coinvolte nell’autoregolazione dell’attenzione, delle emozioni e della consapevolezza a seguito di un addestramento di mindfulness. Tuttavia, nei studi eseguiti sono stati raccolti dati consistenti riguardanti anche molte altre aree del cervello, che sono coinvolte nella pratica della mindfulness e che meritano ulteriori indagini.

Entrando più nello specifico, la pratica della mindfulness migliora l’attenzione, ovvero induce la modificazione neuroplastica di tutta quella circuiteria, cioè della connettività fra strutture che appartengono alle aree prefrontali (corteccia cingolata anteriore) e i gangli della base (striato), che è completamente contropolare al Default Mode Network, che è invece iperattivato in tutta una serie di patologie, in primis nella patologia depressiva. La corteccia cingolata anteriore è la regione associata all’attenzione in cui vengono segnalati con maggiore coerenza i cambiamenti nell’attività e/o nella struttura in risposta alla mindfulness.

La regolazione emozionale, cioè il controllo e il management emotivo, è correlata con tutta un’altra serie di circuiterie, che vedono i loro hub principali nelle regioni prefrontali e il loro effetto inibitorio sulla amigdala, che invece viene meno in condizione di stress cronico.

L’autoconsapevolezza, che attiene il cosiddetto rapporto mente corpo, è correlata a livello neurofisiologico con l’attività della corteccia prefrontale mediale, dell’insula e di altre strutture più posteriori (corteccia cingolata posteriore e precuneo).

Alcune delle strutture, che vengono modificate strutturalmente e funzionalmente dalla mindfulness, ovvero vengono incrementate, come la prefrontale dorsolaterale,la corteccia orbito-frontale, la prefrontale dorsomediale, la componente subgenuale del cingolo anteriore, sono tutte strutture che sappiamo perfettamente inibire l’amigdala e che appartengono, quando funzionano bene, a quella circuiteria che madre natura ci ha dato per provare piacere e senso di benessere (Berridge, Kringelbach, Psychol Well Being. 2011).

Inoltre studi di neuroimaging funzionale sulla felicità hanno costantemente scoperto che l’induzione di emozioni felici, rispetto a emozioni neutre, attivava alcune aree cerebrali, tra cui il giro cingolato anteriore, la corteccia parietale mediale (giro cingolato posteriore e precuneo) e amigdala. In particolare l’incremento di volume del cingolo anteriore, che la mindfulness induce, correla sistematicamente anche il sentirsi più felici.

Quindi, possiamo anche dire che gli interventi MB agiscono su tutta una serie di strutture, che sono il cingolo anteriore, le strutture prefrontali, il precuneo, le strutture parietali posteriori, l’ippocampo che fanno parte di quelle grandi circuiterie, che hanno a che fare con altri elementi cruciali del nostro benessere e del nostro sentirci bene, che sono la flessibilità cognitiva, l’insight, inteso come capacità intuitive e la consapevolezza del sé, e ad un incremento della neuroplasticità e della varianza di risposta dei vari sistemi di regolazione organismica, dove i sistemi diventano sempre meno rigidi, mentre in patologia i sistemi tendono a diventare sempre più rigidi, e, quindi, in qualche modo monomorfi nella loro capacità di espressione. 

La meditazione mindfulness, riducendo la risposta di stress, induce ramificazione dendritica, sinaptogenesi, mielinogenesi o persino neurogenesi adulta, influenza positivamente la regolazione autonomica e l’attività immunitaria.
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La mindfulness ha dunque un potenziale per il trattamento di disturbi clinici e potrebbe facilitare la coltivazione di una mente sana e un maggiore benessere.

La ricerca futura sulla mindfulness  dovrebbe sempre più utilizzare studi longitudinali randomizzati e controllati attivamente, con campioni di grandi dimensioni per convalidare i risultati precedenti, e dovrebbe collegare gli effetti della pratica della mindfulness sulla struttura e sulla funzione neurale alle prestazioni comportamentali, come il funzionamento cognitivo, affettivo e sociale.

Infine è probabile che il complesso stato mentale di consapevolezza mindful sia supportato dalle reti cerebrali su larga scala. Il lavoro futuro dovrebbe dunque tenerne conto anziché limitarsi alle attivazioni in singole aree del cervello.

Di seguito la libera traduzione in italiano dell’articolo di Tang.

The neuroscience of mindfulness meditation

Tang, YY., Hölzel, B. & Posner, M.

Nat Rev Neurosci 16, 213–225 (2015). https://doi.org/10.1038/nrn3916
DOI https://doi.org/10.1038/nrn391

Punti chiave 

  • Si propone che il meccanismo attraverso il quale la mindfulness esercita i suoi effetti sia un processo di maggiore autoregolazione, compreso il controllo dell’attenzione, la regolazione delle emozioni e l’autoconsapevolezza.
  • La ricerca sulla meditazione consapevole deve affrontare una serie di importanti sfide nella progettazione dello studio che limitano l’interpretazione degli studi esistenti.
  • Numerosi cambiamenti nella struttura del cervello sono stati collegati alla meditazione di consapevolezza.
  • La pratica della mindfulness migliora l’attenzione. La corteccia cingolata anteriore è la regione associata all’attenzione in cui vengono segnalati con maggiore coerenza i cambiamenti nell’attività e/o nella struttura in risposta alla mindfulness/meditazione di consapevolezza .
  • La pratica della consapevolezza migliora la regolazione delle emozioni e riduce lo stress. Le reti fronto-limbiche coinvolte in questi processi mostrano vari modelli di coinvolgimento attraverso la mindfulness.
  • La pratica della meditazione ha il potenziale di influenzare l’elaborazione autoreferenziale e migliorare la consapevolezza del momento presente. Le Default Mode Metwork – tra cui la corteccia prefrontale mediale e la corteccia cingolata posteriore, che supportano l’autoconsapevolezza – potrebbero essere modificate dopo l’addestramento alla consapevolezza.
  • La mindfulness ha un potenziale per il trattamento di disturbi clinici e potrebbe facilitare la coltivazione di una mente sana e un maggiore benessere.
  • La ricerca futura sulla mindfulness  dovrebbe utilizzare studi longitudinali randomizzati e controllati attivamente con campioni di grandi dimensioni per convalidare i risultati precedenti.
  • Nella ricerca futura, gli effetti della pratica della mindfulness sulla struttura e sulla funzione neurale dovranno essere collegati alle prestazioni comportamentali, come il funzionamento cognitivo, affettivo e sociale.
  • È probabile che il complesso stato mentale di consapevolezza sia supportato dalle reti cerebrali su larga scala; il lavoro futuro dovrebbe tenerne conto anziché limitarsi alle attivazioni in singole aree del cervello.
Abstract La ricerca degli ultimi due decenni supporta ampiamente l’affermazione che la mindfulness, ampiamente praticata per ridurre lo stress e promuovere la salute, esercita effetti benefici sulla salute fisica e mentale e sulle prestazioni cognitive. Recenti studi di neuroimaging hanno iniziato a scoprire le aree e le reti del cervello che mediano questi effetti positivi. Tuttavia, i meccanismi neurali sottostanti rimangono poco chiari ed è evidente che sono necessari studi metodologicamente più rigorosi se vogliamo ottenere una piena comprensione delle basi neuronali e molecolari dei cambiamenti nel cervello che accompagnano la meditazione consapevole.

La meditazione può essere definita come una forma di allenamento mentale che mira a migliorare le capacità psicologiche fondamentali di un individuo, come l’autoregolazione attenzionale ed emotiva. La meditazione comprende una famiglia di pratiche complesse che includono la meditazione mindfulness, la meditazione dei mantra, lo yoga, il tai chi e il chi gong. Di queste pratiche, la mindfulness, ovvero la meditazione di consapevolezza – spesso descritta come attenzione non giudicante alle esperienze del momento presente (BOX 1) – ha ricevuto la massima attenzione nella ricerca neuroscientifica negli ultimi due decenni. Sebbene la ricerca sulla meditazione sia agli inizi, numerosi studi hanno indagato i cambiamenti nell’attivazione cerebrale (a riposo e durante compiti specifici) associati alla pratica o che seguono l’allenamento nella meditazione mindfulness.

Questi studi hanno riportato cambiamenti in molteplici aspetti della funzione mentale in meditatori principianti e esperti, individui sani e popolazioni di pazienti. In questa revisione, consideriamo lo stato attuale della ricerca sulla mindfulness. Discutiamo le sfide metodologiche che il campo deve affrontare e indichiamo diverse carenze negli studi esistenti. Tenendo conto di alcune importanti considerazioni teoriche, discutiamo quindi i risultati comportamentali e neuroscientifici alla luce di quelle che riteniamo siano le componenti fondamentali della pratica della meditazione: controllo dell’attenzione, regolazione delle emozioni e autoconsapevolezza (BOX1). In questo quadro, descriviamo la ricerca che ha rivelato cambiamenti nel comportamento, nell’attività cerebrale e nella struttura cerebrale in seguito all’allenamento di meditazione consapevole. Discutiamo di ciò che è stato appreso finora da questa ricerca e suggeriamo nuove strategie di ricerca per il settore. Ci concentriamo qui sulle pratiche di meditazione consapevole e abbiamo escluso studi su altri tipi di meditazione. Tuttavia, è importante notare che altri stili di meditazione possono operare tramite meccanismi neurali distinti. 

Sfide nella ricerca sulla meditazione

I risultati sugli effetti della meditazione sul cervello sono spesso riportati con entusiasmo dai media e utilizzati da medici ed educatori per informare il loro lavoro. Tuttavia, la maggior parte dei risultati non è stata ancora replicata. Molti ricercatori sono essi stessi meditatori entusiasti. Sebbene la loro prospettiva privilegiata possa essere preziosa per una profonda comprensione della meditazione, questi ricercatori devono assicurarsi di assumere una visione critica dei risultati dello studio. Infatti, per gli studi sulla meditazione esiste una propensione relativamente forte verso la pubblicazione di risultati positivi o significativi, come è stato dimostrato in una meta-analisi.

La qualità metodologica di molti studi di ricerca sulla meditazione è ancora relativamente bassa. Pochi sono studi longitudinali controllati attivamente e le dimensioni del campione sono piccole. Come è tipico per un campo di ricerca giovane, molti esperimenti non sono ancora basati su teorie elaborate e le conclusioni sono spesso tratte da interpretazioni post-hoc. Queste conclusioni rimangono quindi provvisorie e gli studi devono essere replicati attentamente. La ricerca sulla meditazione deve affrontare anche diverse sfide metodologiche specifiche.

Studi trasversali versus studi longitudinali1

I primi studi sulla meditazione erano per lo più studi trasversali: confrontavano cioè i dati di un gruppo di meditatori con i dati di un gruppo di controllo in un determinato momento. Questi studi hanno esaminato praticanti con centinaia o migliaia di ore di esperienza di meditazione (come i monaci buddisti) e li hanno confrontati con il gruppo di controllo di non meditatori abbinati su varie dimensioni. La logica era che qualsiasi effetto della meditazione sarebbe stato più facilmente rilevabile in praticanti di grande esperienza.

BOX 1 Meditazione Mindfulness  Diversi stili e forme di meditazione si trovano in quasi tutte le culture e religioni.  La meditazione mindfulness deriva originariamente dalle tradizioni di meditazione buddista. Dagli anni ’90, la meditazione mindfulness è stata applicata a molteplici condizioni di salute mentale e fisica e ha ricevuto molta attenzione nella ricerca psicologica. Negli attuali contesti clinici e di ricerca, la meditazione mindfulness è tipicamente descritta come attenzione non giudicante alle esperienze del momento presente. Questa definizione racchiude i concetti buddisti di consapevolezza ed equanimità e descrive pratiche che richiedono sia la regolazione dell'attenzione (per mantenere la concentrazione sulle esperienze immediate, come pensieri, emozioni, postura del corpo e sensazioni) sia la capacità di affrontare le proprie esperienze con apertura e accettazione. La meditazione mindfulness può essere suddivisa in metodi che implicano l’attenzione focalizzata e quelli che implicano il monitoraggio aperto dell’esperienza del momento presente. Le pratiche di consapevolezza che sono state oggetto di ricerca neuroscientifica comprendono un'ampia gamma di metodi e tecniche, comprese le tradizioni di meditazione buddista, come la meditazione Vipassana, Dzogchen e Zen, nonché approcci basati sulla consapevolezza come l'allenamento integrativo corpo-mente (IBMT). ), la riduzione dello stress basata sulla mindfulness (MBSR) e interventi clinici basati su MBSR.  Entrambi MBSR e IBMT hanno adottato pratiche di consapevolezza dalle tradizioni buddiste e mirano a sviluppare una consapevolezza non giudicante momento per momento attraverso varie tecniche. IBMT è stato classificato in letteratura come meditazione di consapevolezza a monitoraggio aperto, mentre MBSR include sia pratiche di attenzione focalizzata che pratiche di monitoraggio aperto. È stato suggerito che la meditazione mindfulness include almeno tre componenti che interagiscono strettamente per costituire un processo di maggiore autoregolazione: maggiore controllo dell’attenzione, migliore regolazione delle emozioni e alterata autoconsapevolezza (diminuita elaborazione autoreferenziale e maggiore consapevolezza corporea)- vedi la figura, parte a). La meditazione mindfulness può essere approssimativamente suddivisa in tre diverse fasi della pratica: iniziale, media (intermedia) e avanzata che comportano diversi livelli di sforzo (vedi figura, parte b).
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Numerosi studi trasversali hanno rivelato differenze nella struttura e nella funzione del cervello associate alla meditazione (vedi sotto). Sebbene queste differenze possano costituire effetti indotti dall’allenamento, un disegno di studio trasversale preclude un’attribuzione causale: è possibile che ci siano differenze preesistenti nel cervello dei meditatori, che potrebbero essere collegate al loro interesse per la meditazione, personalità o temperamento. Sebbene gli studi correlazionali2 abbiano tentato di scoprire se una maggiore esperienza di meditazione sia correlata a cambiamenti più ampi nella struttura o nella funzione del cervello, tali correlazioni non possono ancora dimostrare che la pratica della meditazione abbia causato i cambiamenti perché è possibile che gli individui con queste particolari caratteristiche cerebrali possano essere attratti da una più lunga pratica di meditazione.

Ricerche più recenti hanno utilizzato disegni longitudinali, che confrontano i dati di uno o più gruppi in diversi momenti temporali e idealmente includono una condizione di controllo (preferibilmente attiva) e un’assegnazione casuale alle condizioni. Nella ricerca sulla meditazione, gli studi longitudinali sono ancora relativamente rari. Tra questi studi, alcuni hanno studiato gli effetti dell’allenamento alla consapevolezza nell’arco di pochi giorni, mentre altri hanno studiato programmi da 1 a 3 mesi. Alcuni di questi studi hanno rivelato cambiamenti nel comportamento, nella struttura e nella funzione del cervello. Una mancanza di cambiamenti simili nel gruppo di controllo suggerisce che la meditazione ha causato i cambiamenti osservati, soprattutto quando altre variabili potenzialmente confondenti sono controllate adeguatamente. 

Meditanti principianti contro meditanti esperti. 

Sebbene la maggior parte degli studi trasversali includessero meditatori di lunga data, gli studi longitudinali sono spesso condotti su soggetti principianti o ingenui. Pertanto, le differenze nei risultati delle analisi trasversali e longitudinali potrebbero essere attribuite alle diverse regioni del cervello utilizzate durante l’apprendimento della meditazione rispetto a quelle utilizzate durante la pratica continua di un’abilità acquisita. Sarebbe interessante seguire i soggetti per un periodo di pratica a lungo termine per determinare se i cambiamenti indotti dall’allenamento meditativo persistono in assenza di pratica continua. Tuttavia, tali studi longitudinali a lungo termine sarebbero compromessi da vincoli di fattibilità ed è probabile che i futuri studi longitudinali rimarranno limitati a periodi di formazione relativamente brevi.

Gruppi di controllo e interventi

È importante controllare le variabili che potrebbero essere confuse con l’addestramento alla meditazione, come i cambiamenti nello stile di vita e nella dieta che potrebbero accompagnare la pratica della meditazione o l’aspettativa e l’intenzione che i principianti della meditazione portano nella loro pratica. I ricercatori devono determinare attentamente quali variabili costituiscono aspetti integranti dell’addestramento alla meditazione e quali possono essere controllate. Alcuni studi precedenti controllavano solo il periodo di tempo in cui l’individuo aveva praticato la meditazione e gli effetti di test ripetuti.

Ma studi più recenti hanno sviluppato e incluso interventi attivi in gruppi di controllo – come l’educazione alla gestione dello stress, la formazione al rilassamento o programmi di miglioramento della salute– che possono controllare variabili come l’interazione sociale con il gruppo e gli insegnanti, la quantità di esercizi a casa, esercizio fisico e psicoeducazione. Questi studi sono quindi in grado di estrarre e delineare meglio gli effetti specifici della meditazione. Ad esempio, uno studio che ha indagato sull’addestramento alla meditazione a breve termine ha utilizzato una condizione di “meditazione fittizia” in cui i partecipanti pensavano di stare meditando, ma non ricevevano istruzioni adeguate sulla meditazione, che ha permesso ai ricercatori di controllare fattori come aspettativa, postura del corpo e attenzione da parte dell’insegnante. Gli studi meccanicistici idealmente devono utilizzare interventi che siano efficaci quanto la meditazione consapevole nel produrre effetti benefici sulle variabili target, ma che consentano la valutazione del meccanismo unico alla base della pratica della consapevolezza.

Condizioni di controllo nell’imaging funzionale

Sebbene tutti gli studi di neuroimaging funzionale debbano utilizzare condizioni di confronto appropriate, questa sfida è particolarmente importante quando si eseguono immagini di stati meditativi (BOX 2). La condizione di confronto dovrebbe essere quella in cui non è presente uno stato di meditazione consapevole. Molti studi utilizzano condizioni di confronto a riposo, ma un problema è che è probabile che i praticanti esperti entrino in uno stato di meditazione quando sono a riposo. Tuttavia, altri compiti attivi introducono ulteriore attività cerebrale che rende il confronto difficile da interpretare. L’utilizzo di protocolli di imaging che non si basano sui contrasti dipendenti dal livello di ossigeno nel sangue (contrasti BOLD)3, come la etichettatura dello spin arterioso4, potrebbe essere una possibile soluzione a questo problema.

Cambiamenti nella struttura del cervello

Negli ultimi dieci anni, 21 studi hanno indagato sulle alterazioni della morfometria cerebrale legate alla meditazione consapevole. Questi studi variavano in relazione all’esatta tradizione della meditazione consapevole presa in esame, e sono state effettuate misurazioni multiple per studiare gli effetti sia sulla materia grigia che su quella bianca. Gli studi hanno catturato lo spessore corticale, il volume e/o la densità della materia grigia, l’anisotropia frazionaria5 e la diffusività assiale e radiale6. Questi studi hanno utilizzato anche diversi disegni di ricerca. La maggior parte ha effettuato confronti trasversali tra meditatori esperti e controlli; tuttavia, alcuni studi recenti hanno analizzato i cambiamenti longitudinali nei professionisti alle prime armi. Alcuni ulteriori studi hanno indagato le correlazioni tra i cambiamenti cerebrali e altre variabili legate alla pratica della consapevolezza, come la riduzione dello stress, la regolazione delle emozioni o l’aumento del benessere. La maggior parte degli studi include campioni di piccole dimensioni, compresi tra 10 e 34 soggetti per gruppo.

BOX 2 | Immaginare lo stato meditativo Uno stato cerebrale7 può essere definito come un modello affidabile di attività e/o connettività in più reti cerebrali su larga scala. L'addestramento alla meditazione implica il raggiungimento di uno stato meditativo e si possono effettuare misurazioni del comportamento e/o dell'attività cerebrale mentre si pensa che i partecipanti siano in tale stato. Questi studi possono chiarire come lo stato influenza il cervello e il comportamento. Per identificare le regioni cerebrali attivate durante lo stato di meditazione (rispetto allo stato di base) in più studi condotti su meditatori sani esperti, è stata eseguita una meta-analisi sulla stima della probabilità di attivazione di 10 studi con 91 soggetti pubblicati prima di gennaio. Ciò ha rivelato tre aree in cui c'erano gruppi di attività: il caudato, che si pensa (insieme al putamen) abbia un ruolo nel disimpegno dell'attenzione da informazioni irrilevanti, consentendo di raggiungere e mantenere uno stato meditativo; la corteccia entorinale (paraippocampo), che si ritiene controlli il flusso mentale dei pensieri e possibilmente impedisca alla mente di vagare; e la corteccia prefrontale mediale, che si ritiene supporti l'accresciuta autoconsapevolezza durante la meditazione (vedi anche RIF. 162). È stato suggerito che queste regioni di attività potrebbero rappresentare una rete corticale centrale per lo stato meditativo, indipendentemente dalla tecnica di meditazione. È importante notare, tuttavia, che questa meta-analisi includeva principalmente articoli provenienti da tradizioni diverse dalla consapevolezza.

Poiché gli studi variano in termini di progettazione, misurazione e tipo di meditazione consapevole, non sorprende che le posizioni degli effetti riportati siano diverse e coprano più regioni del cervello. Gli effetti riportati dai singoli studi sono stati riscontrati in molteplici regioni del cervello, tra cui la corteccia cerebrale, la materia grigia e bianca sottocorticale, il tronco encefalico e il cervelletto, suggerendo che gli effetti della meditazione potrebbero coinvolgere reti cerebrali su larga scala. Ciò non sorprende perché la pratica della consapevolezza coinvolge molteplici aspetti della funzione mentale che utilizzano molteplici reti interattive complesse nel cervello. La TABELLA 1 riassume i principali risultati degli studi di neuroimaging strutturale sulla meditazione consapevole (sostanza grigia e bianca).

È stata condotta una meta-analisi sulla stima della probabilità di attivazione8, che includeva anche studi di tradizioni diverse dalla meditazione consapevole, per indagare quali regioni fossero costantemente alterate nei meditatori nel corso degli studi. I risultati hanno dimostrato una dimensione media dell’effetto globale e otto regioni del cervello sono risultate costantemente alterate nei meditatori: la corteccia frontopolare, che gli autori suggeriscono potrebbe essere correlata all’aumentata meta-consapevolezza conseguente alla pratica della meditazione; le cortecce sensoriali e l’insula, aree che sono state collegate alla consapevolezza del corpo; l’ippocampo, una regione che è stata collegata ai processi di memoria; la corteccia cingolata anteriore (ACC), la corteccia cingolata media e la corteccia orbitofrontale, aree note per essere correlate alla regolazione del sé e delle emozioni; e il fascicolo longitudinale superiore e il corpo calloso, aree coinvolte nella comunicazione intra e interemisferica.

Pertanto, sono stati intrapresi alcuni tentativi iniziali per indagare le regioni del cervello che sono strutturalmente alterate dalla pratica della meditazione. Tuttavia, la nostra conoscenza di cosa significhino effettivamente questi cambiamenti rimarrà banale finché non avremo una migliore comprensione di come tali cambiamenti strutturali siano correlati ai miglioramenti segnalati nella funzione affettiva, cognitiva e sociale. Pochissimi studi hanno iniziato a mettere in relazione i risultati ottenuti nel cervello con variabili auto-riferite e misure comportamentali. Gli studi futuri dovranno quindi replicare i risultati riportati e iniziare a svelare il modo in cui i cambiamenti nella struttura neurale si collegano ai cambiamenti nel benessere e nel comportamento.

Prove crescenti dimostrano anche cambiamenti nelle proprietà funzionali del cervello in seguito alla meditazione. Di seguito, riassumiamo tali risultati nel contesto del quadro dei meccanismi fondamentali della meditazione consapevole (BOX 1; FIG. 1).

Tabella 1 – Cambiamenti strutturali nel cervello associati alla meditazione consapevole

Tradizione meditativa*ControlloDimensione del campione di meditazione (M)e dei
gruppi di controllo (C)
Tipo di misurazioneAree chiave influenzate ‡Rif.
Studi trasversali – Campioni non clinici
Insight Non meditatori M:20, C:15













Spessore corticaleInsula anteriore destra e solchi frontali medio e superiore destro32
ZenNon meditatori M:13, C:13


Volume della materia grigiaMeno declino legato all’età al putamen sinistro34
Insight Non meditatori M:20, C:20
Insula anteriore destra, giro temporale inferiore sinistro e ippocampo destro
Insula anteriore destra, giro temporale inferiore sinistro e ippocampo destro
31
Tibetan DzogchenNon meditatori M:10, C:10
Densità della materia grigia
Midollo allungato, giro frontale superiore e inferiore sinistro, lobo anteriore del cervelletto (bilaterale) e giro fusiforme sinistro33
ZenNon meditatori M:17,C:18

Spessore corticaleCorteccia cingolata anteriore dorsale destra e cortecce somatosensoriali secondarie (bilaterale)51
MBSRNon meditatori M:20,C:16

Volume della materia grigia

Nucleo caudato sinistro
52
Zen Non meditatori M:10, C:10

DTI: diffusività media e anisotropia frazionaria
Diffusione media inferiore nella sostanza bianca parietale posteriore sinistra e anisotropia frazionaria inferiore nella sostanza grigia della corteccia sensomotoria primaria sinistra37
Studi longitudinali (campioni non clinici
IBMT (4 settimane)Controllo attivo;
training di rilassamento
M:22,C:23







DTI: FA e volume della materia grigiaFA aumentata per la corona radiata anteriore sinistra, la corona radiata superiore (bilaterale), il fascicolo longitudinale superiore sinistro, il ginocchio e il corpo del corpo calloso. Nessun effetto sul volume della materia grigia38
MBSRIndividi su una lista di attesa. M:16, C:17
Densità della materia grigia
Ippocampo sinistro, giro cingolato posteriore sinistro, cervelletto e giro temporale medio sinistro
40
IBMT (2 settimane) Controllo attivo;
training di rilassamento


M:34,C:34

DTI: FA, diffusività radiale e diffusività assiale
Diminuzione della diffusività assiale nel corpo calloso, nella corona radiata, nel fascicolo longitudinale superiore, nella radiazione talamica posteriore e nello striato sagittale
39
Studi longitudinali (campioni clinici)
MBIAssistenza abituale
(pazienti con malattia di Parkinson)
M:14,C:13
Densità della materia grigia

Caudato (bilaterale), lobo temporale inferiore sinistro, ippocampo (bilaterale), cuneo occipitale sinistro e altri piccoli gruppi; cervelletto anteriore aumentato nel gruppo trattato con terapia abituale42
MBSRLista di attesa (pazienti con deterioramento cognitivo lieve)
M:8,C:5
Volume dell’ippocampo (analisi della regione di interesse)
Tendenza verso una minore atrofia dell’ippocampo41
DTI, imaging del tensore di diffusione; FA, anisotropia frazionaria; IBMT, allenamento integrativo corpo-mente; MBI, intervento basato sulla mindfulness; MBSR, riduzione dello stress basata sulla mindfulness. *Non sono elencati gli studi che includono meditatori provenienti da tradizioni diverse dalla Mindfulness o studi che indagano solo le correlazioni con altre variabili. ‡I meditatori mostrano valori aumentati, se non diversamente specificato.

Mindfulness e attenzione

Molte tradizioni di meditazione sottolineano la necessità di coltivare la regolazione dell’attenzione nelle prime fasi della pratica. Per rimanere impegnati nella meditazione è necessario un grado sufficiente di controllo dell’attenzione e i meditatori spesso riferiscono un miglioramento del controllo dell’attenzione come effetto della pratica ripetuta. Numerosi studi hanno studiato sperimentalmente tali effetti.

Componenti dell’attenzione. L’attenzione è spesso suddivisa in tre diverse componenti: allerta (prontezza in preparazione per uno stimolo imminente, che include effetti tonici che risultano dal trascorrere del tempo su un compito (vigilanza) ed effetti fasici che sono dovuti a cambiamenti cerebrali indotti da segnali di avvertimento o obiettivi) ; orientamento (la selezione di informazioni specifiche da molteplici stimoli sensoriali); e monitoraggio dei conflitti (monitoraggio e risoluzione dei conflitti tra calcoli in diverse
aree neurali, chiamate anche attenzione esecutiva). Altre distinzioni tra tipi di attenzione si riferiscono alle combinazioni di queste tre componenti. Ad esempio, l’attenzione sostenuta si riferisce al senso di vigilanza durante compiti prolungati e può coinvolgere sia l’allarme tonico che l’orientamento, mentre l’attenzione selettiva può coinvolgere l’orientamento (quando è presente uno stimolo) o la funzione esecutiva (quando sono coinvolte informazioni immagazzinate).

Le prestazioni in questi tre domini di base possono essere misurate con il test della rete di attenzione (ANT). Questo test utilizza come bersaglio una freccia che punta a sinistra o a destra. Il bersaglio è circondato da fiancheggiatori e sottraendo i tempi di reazione agli stimoli congruenti (cioè quelli sul lato dello schermo indicato dalla freccia) dai tempi di reazione agli stimoli incongruenti si ottiene una misura del tempo necessario per risolvere il conflitto. L’inclusione di segnali che indicano quando o dove si verificherà il bersaglio consente la misurazione dell’allerta e dell’orientamento. Queste misure vengono utilizzate per quantificare l’efficienza in ciascuna delle tre reti che supportano le singole componenti dell’attenzione.

L’allarme coinvolge il sistema noradrenergico  del cervello, che ha origine nel locus coeruleus. L’orientamento coinvolge le aree frontali e parietali, compresi i campi oculari frontali e il lobo parietale inferiore e superiore. La rete esecutiva coinvolta nella risoluzione dei conflitti coinvolge l’ACC, l’insula anteriore e i gangli della base.

Effetti della meditazione consapevole sull’attenzione.
L’ANT e altri paradigmi sperimentali sono stati utilizzati per studiare gli effetti della meditazione sulle prestazioni attenzionali. In diversi studi è stato riportato un miglioramento del monitoraggio dei conflitti. Ad esempio, uno studio longitudinale ha dimostrato che solo 5 giorni (20 minuti al giorno) di allenamento integrativo corpo-mente (IBMT) hanno portato a un migliore monitoraggio dei conflitti. Inoltre, studi trasversali di 3 mesi di meditazione mindfulness hanno mostrato un ridotto battito di ciglia dell’attenzione (una perdita di attenzione a seguito di uno stimolo all’interno di un rapido flusso di stimoli presentati che è stato correlato alla funzione esecutiva) dopo l’allenamento. ( vedi anche RIF. 67). Migliori prestazioni nel monitoraggio dei conflitti sono state dimostrate anche in meditatori esperti in studi trasversali. Tuttavia, sebbene l’attenzione alterata sia un risultato comune in questi studi sulla meditazione ben progettati, alcuni studi che hanno indagato sulla riduzione dello stress basata sulla mindfulness(MBSR) non hanno osservato effetti sul monitoraggio dei conflitti.

La maggior parte degli studi sugli effetti della meditazione consapevole a breve termine (1 settimana) sull’allerta non hanno riscontrato effetti significativi, ma gli studi che hanno esaminato i meditatori a lungo termine (che vanno da mesi ad anni) hanno rilevato cambiamenti nell’allerta. In alcuni studi trasversali è stato riportato un miglioramento dell’orientamento utilizzando periodi di allenamento più lunghi. Ad esempio, 3 mesi di formazione sulla consapevolezza Shamatha hanno migliorato la vigilanza tonica (la capacità di rimanere vigili nel tempo) e hanno consentito un migliore orientamento verso un obiettivo visivo rispetto ai controlli. Tuttavia, 8 settimane di MBSR non hanno migliorato le misure di attenzione sostenuta in un compito di prestazione continua che misurava aspetti della vigilanza tonica, ma hanno mostrato qualche miglioramento nell’orientamento. Non sappiamo se le differenze nei risultati di questi studi siano dovute al tipo di allenamento, al tipo di controllo o ad altri fattori sottili.

Una revisione sistematica che ha raccolto i risultati di questi studi (così come gli effetti su altre misure cognitive) ha concluso che le prime fasi della meditazione consapevole potrebbero essere associate a miglioramenti nel monitoraggio e nell’orientamento del conflitto, mentre le fasi successive potrebbero essere principalmente associate a un miglioramento dell’allerta. Al momento non è ancora chiaro come le diverse pratiche di meditazione influenzino in modo differenziale le specifiche componenti attenzionali. Inoltre, la durata della pratica deve essere definita in modo più coerente nella ricerca futura.

Meccanismi neurali di maggiore controllo dell’attenzione.
Diversi studi di risonanza magnetica funzionale e strutturale sull’allenamento della mindfulness hanno studiato la neuroplasticità nelle regioni del cervello che supportano la regolazione dell’attenzione. La regione del cervello a cui gli effetti dell’allenamento alla consapevolezza sull’attenzione sono collegati in modo più coerente è la Corteccia Cingolata Anteriore (ACC). L’ACC consente l’attenzione esecutiva e il controllo, rilevando la presenza di conflitti che emergono da flussi incompatibili di elaborazione delle informazioni. L’ACC e la corteccia fronto-insulare fanno parte di una rete che facilita l’elaborazione cognitiva attraverso connessioni a lungo raggio con altre aree cerebrali.

Studi trasversali hanno riportato una maggiore attivazione delle regioni dell’ACC in meditatori esperti rispetto ai controlli durante la meditazione con attenzione focalizzata o quando si anticipa consapevolmente l’erogazione di uno stimolo doloroso. Una maggiore attivazione dell’ACC ventrale e/o rostrale durante lo stato di riposo dopo 5 giorni di IBMT è stata riscontrata anche in uno studio longitudinale, randomizzato e controllato attivamente. Sebbene l’attivazione dell’ACC possa essere migliorata nelle fasi iniziali della meditazione consapevole, potrebbe diminuire con livelli di esperienza più elevati, come dimostrato in uno studio trasversale. I dati della risonanza magnetica strutturale suggeriscono che la meditazione mindfulness potrebbe essere associata a un maggiore spessore corticale e potrebbe portare a una maggiore integrità della sostanza bianca nell’ACC.

Altre regioni cerebrali legate all’attenzione in cui sono stati osservati cambiamenti funzionali in seguito alla meditazione mindfulness includono la corteccia prefrontale dorsolaterale (PFC), dove le risposte sono state migliorate durante l’elaborazione esecutiva, come rivelato da uno studio longitudinale randomizzato, e regioni parietali dell’attenzione  che hanno mostrato una maggiore attivazione a seguito di un corso MBSR nelle persone con ansia sociale, come dimostrato da uno studio longitudinale non controllato. Inoltre, in uno studio trasversale condotto su praticanti di meditazione Zen è stato riscontrato un ridotto declino correlato all’età del volume della materia grigia nel putamen, nonché un ridotto declino correlato all’età delle prestazioni di attenzione sostenuta.

Sebbene vi siano prove che le regioni cerebrali rilevanti per la regolazione dell’attenzione mostrino cambiamenti funzionali e strutturali in seguito alla pratica della meditazione mindfulness, non è ancora stato determinato se questi cambiamenti siano effettivamente correlati al miglioramento delle prestazioni attenzionali.

Sono necessari studi longitudinali che usano misure
delle prestazioni attentive insieme alla risonanza magnetica funzionale (fMRI). Se supportate da ricerche future più rigorose, le prove di una migliore regolazione dell’attenzione e di un rafforzamento dell’attività cerebrale nelle regioni sottostanti al controllo dell’attenzione dopo la meditazione consapevole potrebbero essere promettenti per il trattamento dei disturbi psichiatrici in cui vi sono carenze in queste funzioni.

Consapevolezza e regolazione delle emozioni

È stato suggerito che una migliore regolazione delle emozioni sia alla base di molti degli effetti benefici della meditazione mindfulness. La regolazione delle emozioni si riferisce a strategie che possono influenzare quali emozioni sorgono e quando, per quanto tempo si verificano e come queste emozioni vengono vissute ed espresse. È stata proposta una serie di processi di regolazione delle emozioni impliciti ed espliciti, e la regolazione delle emozioni basata sulla mindfulness può comportare un mix di questi processi, tra cui il dispiegamento dell’attenzione (attenzione ai processi mentali, comprese le emozioni), il cambiamento cognitivo (l’alterazione dei modelli tipici di valutazione riguardo alle proprie emozioni) e modulazione della risposta (diminuendo i livelli tonici di soppressione).

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Figura 1 | Regioni cerebrali coinvolte nelle componenti della meditazione mindfulness. Nature Reviews | Neuroscience
Rappresentazione schematica di alcune regioni cerebrali coinvolte nel controllo dell’attenzione (la corteccia cingolata anteriore e lo striato), nella regolazione delle emozioni (regioni prefrontali multiple, regioni limbiche e nello striato) e nell’autoconsapevolezza (l’insula, la corteccia prefrontale mediale e la corteccia cingolata posteriore e precuneo).

Effetti della meditazione consapevole sulla regolazione delle emozioni.
I miglioramenti nella regolazione delle emozioni associati alla meditazione mindfulness sono stati studiati attraverso vari approcci, tra cui studi sperimentali, studi di auto-valutazione, misurazione della fisiologia periferica e neuroimaging. Questi studi hanno riportato vari effetti positivi della meditazione mindfulness sull’elaborazione emotiva, come una riduzione dell’interferenza emotiva da parte di stimoli spiacevoli, una diminuzione della reattività fisiologica e un ritorno facilitato alla linea di base emotiva dopo la risposta a un film stressante e una diminuzione delle difficoltà auto-riferite nella regolazione delle emozioni. Di conseguenza, si ritiene che la ridotta intensità e frequenza degli affetti negativi e il miglioramento degli stati dell’umore positivi siano associati alla meditazione mindfulness.

Meccanismi neurali di migliore regolazione delle emozioni.
Gli studi di neuroimaging che hanno sondato l’accresciuta regolazione delle emozioni associata alla meditazione mindfulness nel tentativo di identificare i modelli di attivazione cerebrale sottostanti in genere presentano ai partecipanti allo studio immagini, parole e/o affermazioni a contenuto emotivo e li istruiscono a incontrarli con uno stato di mindfulness o un semplice stato di base.

L’ipotesi che guida molti di questi studi è che la regolazione emotiva Mindful funziona rafforzando i meccanismi di controllo cognitivo prefrontale e quindi sottoregola l’attività nelle regioni rilevanti per l’elaborazione affettiva, come l’amigdala. Si ritiene che la consapevolezza del momento presente e l’accettazione non giudicante attraverso la meditazione mindfulness siano cruciali nel promuovere il controllo cognitivo, perché aumentano la sensibilità ai segnali affettivi che aiutano a segnalare la necessità di controllo. Gli studi hanno quindi indagato se l’addestramento alla mindfulness esercita i suoi effetti attraverso un maggiore controllo dall’alto verso il basso o un’elaborazione facilitata dal basso verso l’alto. I risultati (descritti di seguito) suggeriscono che il livello di competenza è importante, poiché i principianti mostrano uno schema diverso rispetto ai meditatori esperti.

Tuttavia, sebbene numerosi studi abbiano sottolineato il coinvolgimento delle regioni frontolimbiche, pochissimi studi hanno iniziato a mettere in relazione i cambiamenti in queste regioni con cambiamenti nelle misure di comportamento o benessere. 

Una scoperta frequentemente riportata è che la pratica della mindfulness porta a (o è associata a) una ridotta attivazione dell’amigdala in risposta agli stimoli emotivi durante gli stati consapevoli, così come in uno stato di riposo, suggerendo una diminuzione dell’eccitazione emotiva. Tuttavia, sebbene tali risultati siano stati riportati per i principianti della meditazione, sono stati rilevati in modo meno coerente nei meditatori esperti (ma vedere RIF. 18).

Le attivazioni prefrontali sono spesso potenziate come effetto della meditazione consapevole nei meditatori principianti (ma vedere RIF. 29): ad esempio, maggiori risposte PFC dorsolaterali sono state riscontrate durante l’elaborazione esecutiva all’interno di un compito Stroop emotivo in individui sani dopo 6 settimane di allenamento mindfulness . Una maggiore attivazione della PFC dorsomediale e dorsolaterale è stata rilevata anche quando i partecipanti si aspettavano di vedere immagini negative mentre erano impegnati in uno stato consapevole. Inoltre, dopo un corso MBSR, è stata riscontrata una maggiore attivazione della PFC ventrolaterale nelle persone che soffrono di ansia quando etichettavano l’effetto delle immagini emotive. Al contrario, è stato riscontrato che i meditatori esperti mostrano una ridotta attivazione nelle regioni mediali della PFC. Questo risultato potrebbe essere interpretato come indice di un controllo ridotto (disimpegno dall’elaborazione e dalla valutazione) e da una maggiore accettazione degli stati affettivi.

Gli studi di neuroimaging sul miglioramento dell’elaborazione del dolore attraverso la meditazione mindfulness hanno anche evidenziato differenze legate alle competenze nell’entità del controllo cognitivo sull’esperienza sensoriale. I principianti della meditazione hanno mostrato una maggiore attività nelle aree coinvolte nella regolazione cognitiva dell’elaborazione nocicettiva (l’ACC e l’insula anteriore) e nelle aree coinvolte nella riformulazione della valutazione degli stimoli (la corteccia orbitofrontale), insieme ad una ridotta attivazione nella corteccia somatosensoriale primaria in un Studio longitudinale di 4 giorni senza gruppo di controllo, mentre gli esperti di meditazione sono stati caratterizzati da una ridotta attivazione nelle regioni PFC dorsolaterale e ventrolaterale e miglioramenti nelle regioni primarie di elaborazione del dolore (insula, corteccia somatosensoriale e talamo) rispetto ai controlli in due studi trasversali.

Questi risultati sono in linea con l’ipotesi che il processo della meditazione mindfulness sia caratterizzato come una regolazione cognitiva attiva nei principianti della meditazione, che hanno bisogno di superare i modi abituali di reagire internamente alle proprie emozioni e potrebbero quindi mostrare una maggiore attivazione prefrontale. I meditatori esperti potrebbero non utilizzare questo controllo prefrontale. Piuttosto, potrebbero aver automatizzato un atteggiamento di accettazione nei confronti della loro esperienza e quindi non impegnarsi più in sforzi di controllo dall’alto verso il basso, ma mostrare invece una migliore elaborazione dal basso verso l’alto.

Nelle prime fasi dell’addestramento alla meditazione, il raggiungimento dello stato meditativo sembra implicare l’uso del controllo dell’attenzione e dello sforzo mentale; pertanto, le aree della corteccia prefrontale laterale e parietale sono più attive rispetto a prima dell’allenamento. Ciò potrebbe riflettere il livello di sforzo più elevato spesso riscontrato quando i partecipanti lottano per ottenere lo stato meditativo nelle fasi iniziali Tuttavia, negli stadi avanzati, l’attività prefrontale-parietale è spesso ridotta o eliminata, ma l‘attività dell’ACC, dello striato e dell’insula rimane. È necessario approfondire se lo sforzo abbia un ruolo chiave nell’attivazione del PFC e dell’ACC durante o dopo la meditazione.

L’analisi della connettività funzionale tra le regioni della rete fronto-limbica potrebbe aiutare a chiarire ulteriormente la funzione regolatoria delle regioni di controllo esecutivo. Solo pochi studi hanno incluso tali analisi. Uno studio trasversale sull’elaborazione del dolore nei meditatori ha dimostrato una ridotta connettività delle regioni cerebrali esecutive e correlate al dolore, e uno studio su fumatori naive alla mindfulness ha dimostrato una ridotta connettività tra le regioni cerebrali legate al craving durante una condizione di mindfulness rispetto alla visione passiva di immagini correlate al fumo durante il  craving di sigaretta, suggerendo un disaccoppiamento funzionale delle regioni coinvolte.

Un altro studio longitudinale e randomizzato ha riportato che le persone che soffrono di ansia hanno mostrato un cambiamento da una correlazione negativa tra l’attività delle regioni frontali e quella dell’amigdala prima dell’intervento (cioè connettività negativa) a una correlazione positiva tra l’attività di queste regioni (connettività positiva) dopo un intervento di mindfulness. Poiché tale correlazione negativa si verifica quando le regioni prefrontali sottoregolano l’attivazione limbica, è stato ipotizzato che l’accoppiamento positivo tra l’attività delle due regioni dopo l’intervento di mindfulness potrebbe indicare che la meditazione implica il monitoraggio dell’eccitazione piuttosto che una sottoregolazione o soppressione delle risposte emotive e che potrebbe essere una firma unica della regolazione consapevole delle emozioni.

È importante sottolineare che questo studio ha anche studiato la correlazione tra i risultati neurali e quelli auto-riferiti e ha dimostrato che i cambiamenti nella connettività PFC-amigdala erano correlati al miglioramento dei sintomi di ansia. Sono necessari ulteriori studi per chiarire la complessa interazione tra le regioni della rete fronto-limbica nella meditazione mindfulness.
Sebbene le somiglianze proposte tra la mindfulness e la strategia di rivalutazione della regolazione delle emozioni siano state molto dibattute, ci sono prove che la mindfulness condivida anche somiglianze con i processi di estinzione (BOX 3).

BOX 3 | Meditazione consapevole come terapia espositiva La terapia espositiva mira a far sì che i pazienti estinguano una risposta di paura e, invece, ad acquisire un senso di sicurezza in presenza di uno stimolo precedentemente temuto esponendoli a quello stimolo e prevenendo la risposta abituale. La meditazione consapevole assomiglia a una situazione di esposizione perché i praticanti “si rivolgono verso la loro esperienza emotiva”, portano accettazione alle risposte corporee e affettive e si astengono dall’impegnarsi in una reattività interna nei suoi confronti. La ricerca sul condizionamento della paura ha contribuito a identificare una rete di regioni cerebrali cruciali per l’estinzione delle risposte di paura condizionata e il mantenimento dell’estinzione. Questa rete include la corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC), che è importante per il successo del ricordo dell'estinzione; l'ippocampo, che è legato alla segnalazione del contesto spento (sicurezza contestuale); e l'amigdala, che ha un ruolo cruciale durante l'acquisizione e l'espressione della paura condizionata e si ritiene che sia sottoregolata dal vmPFC e dall'ippocampo. L'attivazione nella vmPFC (corteccia cingolata anteriore subgenuale) è principalmente legata all'espressione dell'apprendimento della paura durante un test ritardato di estinzione ed è fondamentale per il mantenimento dell'estinzione. Esistono prove emergenti dagli studi sulla risonanza magnetica che le suddette regioni del cervello mostrano cambiamenti strutturali e funzionali in seguito all’allenamento di meditazione consapevole (vedi testo principale). Questa sovrapposizione di regioni cerebrali coinvolte, così come la somiglianza concettuale tra consapevolezza e una situazione di esposizione, suggeriscono che l’allenamento alla mindfulness potrebbe migliorare la capacità di estinguere la paura condizionata influenzando strutturalmente e funzionalmente la rete cerebrale che supporta la segnalazione di sicurezza. La capacità di eliminare con successo i ricordi differenzia in modo affidabile le condizioni sane da quelle patologiche ed è cruciale per superare gli stati disadattivi. Aiuta le persone a imparare a non avere alcuna risposta di paura agli stimoli neutri quando non esiste una funzione adattiva per una risposta di paura. Invece, gli individui possono provare un senso di sicurezza e suscitare in modo flessibile altre emozioni e comportamenti.

Le regioni cerebrali coinvolte nella motivazione e nell’elaborazione della ricompensa mostrano anche alterazioni funzionali legate all’allenamento della mindfulness, come una più forte attività del putamen e del caudato durante uno stato di riposo dopo l’allenamento della consapevolezza e una minore attivazione nel nucleo caudato durante l’anticipazione della ricompensa nei meditatori esperti. Questi studi potrebbero indicare un’alterata autoregolazione nell’ambito motivazionale, con una possibile ridotta suscettibilità agli incentivi e una maggiore attività legata alla ricompensa durante il riposo.
Anche le regioni cerebrali coinvolte nella regolazione delle emozioni hanno mostrato cambiamenti strutturali in seguito alla meditazione consapevole. Sebbene questi risultati forniscano alcune prove iniziali del fatto che queste regioni del cervello sono correlate alla pratica della consapevolezza, la questione se siano coinvolte nella mediazione degli effetti benefici della meditazione consapevole rimane in gran parte senza risposta.

Mindfulness e autoconsapevolezza

Secondo la filosofia buddista, l’identificazione con un concetto statico di “sé” provoca disagio psicologico. La disidentificazione da un concetto di sé così statico si traduce nella libertà di sperimentare un modo di essere più genuino. Attraverso una maggiore meta-consapevolezza (rendendo la consapevolezza stessa un oggetto di attenzione), si pensa che la meditazione mindfulness faciliti il distacco dall’identificazione con il sé come entità statica e si dice che emerga la tendenza a identificarsi con il fenomeno stesso dell’“esperire”. Attualmente, la ricerca empirica in quest’area sta appena emergendo, e le poche interpretazioni delle connessioni tra i risultati delle neuroimmagini e i dati auto-riferiti – che riassumeremo brevemente di seguito – sono nella migliore delle ipotesi suggestive.

Elaborazione autoreferenziale. L’alterata rappresentazione di sé è stata studiata con studi basati su questionari. I primi studi hanno riportato che l’allenamento alla consapevolezza è associato a un’autorappresentazione più positiva, a una maggiore autostima, a una maggiore accettazione di sé stessi e a stili di concetto di sé che sono tipicamente associati a sistemi patologici meno gravi.

È stato anche dimostrato che i meditatori ottengono punteggi più alti rispetto ai non meditatori su una scala che misura il non attaccamento: un costrutto basato sulla comprensione della natura costruita e impermanente delle rappresentazioni mentali. Sebbene tali concetti non siano facili da catturare negli studi sperimentali e neuroscientifici, i risultati di alcuni studi recenti sembrano suggerire che le strutture cerebrali che supportano l’elaborazione autoreferenziale potrebbero essere influenzate dalla meditazione consapevole.

Sebbene si dibatta molto sulla sua esatta funzione, è opinione diffusa che la rete in modalità predefinita – ovvero la connettività funzionale intrinseca (default mode network – DMN) sia coinvolta nell’elaborazione autoreferenziale. Questa rete comprende strutture della linea mediana del cervello, come aree della corteccia prefrontale mediale , corteccia cingolata posteriore (PCC), precuneo anteriore e lobulo parietale inferiore. Queste strutture mostrano un’elevata attività durante il riposo, il vagabondare della mente e le condizioni di pensiero indipendente dallo stimolo e si ritiene che supportino diversi meccanismi attraverso i quali un individuo può “proiettare” se stesso in un’altra prospettiva. Gli studi fMRI hanno studiato l’attività nel DMN in associazione alla pratica della mindfulness.

Le regioni del DMN (PFC mediale e PCC) hanno mostrato un’attività relativamente scarsa nei meditatori rispetto ai controlli tra diversi tipi di meditazione, il che è stato interpretato come indicativo di una ridotta elaborazione autoreferenziale. L’analisi della connettività funzionale ha rivelato un accoppiamento più forte nei meditatori esperti tra PCC, ACC dorsale e PFC dorsolaterale, sia al basale che durante la meditazione, che è stato interpretato come un aumento del controllo cognitivo sulla funzione del DMN. È stata riscontrata anche una maggiore connettività funzionale tra le regioni DMN e il PFC ventromediale nei partecipanti con più o meno esperienza di meditazione. È stato ipotizzato che questa maggiore connettività con le regioni PFC ventromediali supporti un maggiore accesso dei circuiti predefiniti alle informazioni sugli stati interni perché questa regione è altamente interconnessa con le regioni limbiche.

Consapevolezza delle esperienze del momento presente. 

Si presume che l’elaborazione valutativa autoreferenziale diminuisca come effetto della meditazione mindfulness, mentre si ritiene che la consapevolezza delle esperienze del momento presente sia migliorata. I professionisti della mindfulness spesso riferiscono che la pratica di prestare attenzione alle sensazioni corporee del momento presente si traduce in una maggiore consapevolezza degli stati corporei e in una maggiore chiarezza percettiva dell’interocezione sottile. I risultati empirici a sostegno di questa affermazione sono contrastanti. Sebbene gli studi che hanno valutato le prestazioni in un compito di rilevamento del battito cardiaco – una misura standard della consapevolezza interocettiva – non abbiano trovato prove che i meditatori avessero prestazioni superiori rispetto ai non meditatori, altri studi hanno scoperto che i meditatori mostravano una maggiore coerenza tra i dati fisiologici oggettivi e la loro esperienza soggettiva in riguardo ad un vissuto emotivo e alla sensibilità delle regioni corporee.
Numerosi studi hanno dimostrato che l‘insula è implicata nella meditazione mindfulness: mostra un’attivazione più forte durante la meditazione di compassione e dopo l’addestramento alla mindfulness  e ha un maggiore spessore corticale nei meditatori esperti. Dato il suo noto ruolo nella consapevolezza, è concepibile che una maggiore attività dell’insula nei meditatori possa rappresentare la consapevolezza amplificata dell’esperienza del momento presente.

Allo stesso modo, uno studio ha riportato un disaccoppiamento dell’insula destra e della PFC mediale e una maggiore connettività dell’insula destra con le regioni dorsolaterali della PFC in individui dopo un addestramento alla mindfulness. Gli autori interpretano i loro risultati come uno spostamento nell’elaborazione autoreferenziale verso un’analisi più distaccata e obiettiva degli eventi sensoriali interocettivi ed esterocettivi, piuttosto del loro valore affettivo o soggettivo autoreferenziale. Inoltre, un’analisi preliminare di uno studio su uno stato di “consapevolezza non duale” (uno stato di consapevolezza in cui le dualità percepite, come la distinzione tra soggetto e oggetto, sono assenti) ha mostrato una diminuzione della connettività funzionale del centro precuneo con il PFC dorsolaterale. L’autore ipotizza che questa constatazione potrebbe essere indicativa di uno stato in cui la consapevolezza è essa stessa soggetto di consapevolezza.

Insieme, i risultati di questi studi sono stati presi per suggerire che la meditazione mindfulness potrebbe alterare la modalità autoreferenziale in modo che una precedente forma narrativa e valutativa di elaborazione autoreferenziale sia sostituita da una maggiore consapevolezza. Suggeriamo che questo cambiamento nell’autoconsapevolezza sia uno dei principali meccanismi attivi degli effetti benefici della meditazione mindfulness. Tuttavia, poiché queste interpretazioni si basano su una comprensione ancora frammentaria della funzione delle regioni cerebrali coinvolte, la ricerca futura dovrà testare ed elaborare queste ipotesi.

Negli studi MRI funzionali e strutturali che sono stati pubblicati fino ad oggi, in particolare quelli basati su studi longitudinali, randomizzati, controllati con gruppi di controllo attivi e meta-analisi, la ACC, PFC, PCC, insula, striato dorsale (caudato e putamen) e l’amigdala sembra mostrare cambiamenti coerenti associati alla meditazione mindfulness (FIG. 1; TABELLA 2). Consideriamo queste aree come le regioni centrali coinvolte nell’autoregolazione dell’attenzione, delle emozioni e della consapevolezza a seguito di un addestramento di mindfulness. Tuttavia, riconosciamo che anche molte altre aree del cervello sono coinvolte nella pratica della mindfulness e meritano ulteriori indagini utilizzando rigorosi disegni randomizzati e controllati.

Domande future

Meccanismi di cambiamenti indotti dalla consapevolezza. 

Numerosi studi sembrano suggerire che la meditazione mindfulness induca cambiamenti nella struttura e nella funzione del cervello, sollevando la questione di quali meccanismi sottostanti supportino questi processi. È possibile che coinvolgere il cervello nella mindfulness influenzi la struttura cerebrale inducendo ramificazione dendritica, sinaptogenesi, mielinogenesi o persino neurogenesi adulta. In alternativa, è possibile che la mindfulness influenzi positivamente la regolazione autonomica e l’attività immunitaria, il che può comportare la conservazione neurone, il ripristino e/o l’inibizione dell’apoptosi . È noto che le tecniche basate sulla mindfulness sono molto efficaci nella riduzione dello stress ed è possibile che tale riduzione dello stress possa mediare cambiamenti nella funzione cerebrale (BOX 4). Può anche verificarsi una combinazione di tutti questi meccanismi.

È anche importante rendersi conto che la direzione degli effetti osservati della meditazione mindfulness non è stata coerente in tutti gli studi. Sebbene siano prevalentemente riportati valori più grandi nei meditatori rispetto ai controlli, uno studio trasversale ha rivelato anche valori più piccoli di anisotropia frazionaria e di spessore corticale nei meditatori in alcune regioni del cervello, tra cui la corteccia prefrontale mediale, la corteccia parietale postcentrale e inferiore, il PCC e corteccia occipitale mediale. In questo senso, gli aumenti indotti dalla mindfulness sono osservati prevalentemente negli studi longitudinali.

Tuttavia, è stato anche riferito, ad esempio, che come conseguenza della meditazione, maggiori diminuzioni dello stress percepito erano associate a maggiori diminuzioni della densità della materia grigia nell’amigdala. Pertanto, i meccanismi sottostanti sembrano essere più complessi di quanto attualmente ipotizzato e sono necessarie ulteriori ricerche.

Sebbene il neuroimaging abbia fatto avanzare la nostra comprensione delle singole regioni cerebrali coinvolte nella meditazione consapevole, la maggior parte delle prove supporta l’idea che il cervello elabora le informazioni attraverso le interazioni dinamiche di aree distribuite che operano in reti su larga scala. Poiché il complesso stato mentale di  mindfulness è probabilmente supportato da alterazioni nelle reti cerebrali su larga scala, il lavoro futuro dovrebbe considerare l’inclusione di analisi di reti complesse, piuttosto che limitare le analisi ai confronti della forza delle attivazioni nelle singole aree cerebrali. Studi recenti hanno esplorato l’architettura funzionale di rete durante lo stato di riposo utilizzando questi nuovi strumenti.

Tabella 2 – Prove di cambiamenti nelle regioni centrali del cervello dopo la meditazione mindfulness

Regione del cervelloDisegno di ricercaRisultati Rif.
ACC
(autoregolazione di attenzione ed emozioni
Trasversali, meditatori Vipassana (N = 15) rispetto ai controlli (N = 15)


Longitudinale, IBMT rispetto al controllo attivo (allenamento al rilassamento) (N = 23 per ciascun gruppo)
Accresciuta attivazione ACC durante la meditazione di consapevolezza del respiro (attenzione focalizzata).

Attività ACC potenziata in stato di riposo
76


23
PFC
(attenzione ed emozione)
Allenamento longitudinale e consapevole (N = 30) rispetto al controllo attivo (N = 31)


Longitudinale, pazienti con disturbo d’ansia generalizzato, MBSR (N = 15) rispetto a controllo attivo (N = 11)


Longitudinale, non controllato, prima e dopo l’allenamento di consapevolezza (N = 15)
Maggiore attivazione dorsolaterale del PFC durante l’elaborazione emotiva esecutiva di Stroop





Attivazione migliorata del PFC ventrolaterale, connettività migliorata di diverse regioni PFC con l’amigdala



Il sollievo dall’ansia dopo l’addestramento alla consapevolezza era correlato all’attivazione ventromediale del PFC e dell’ACC (insieme all’insula)
82




97




157
PCC
(autoconsapevolezza)
Meditatori esperti e trasversali (N = 12) rispetto ai controlli (N = 13)




Meditatori esperti e trasversali (N = 14) divisi in gruppi di pratica alta e bassa

Longitudinale, IBMT, controllo attivo (allenamento al rilassamento) (N = 23 per gruppo)
Disattivazione del PCC durante diversi tipi di meditazione, aumento dell’accoppiamento con ACC e PFC dorsolaterale

Connettività ridotta tra PCC sinistro, PFC mediale e ACC a riposo nel gruppo di pratica elevata

Maggiore attività del PCC destro allo stato di riposo
117

118





23
Insula
Consapevolezza ed elaborazione emozionale)
Controllo trasversale, MBSR (N = 20) e lista di attesa (N = 16)







Meditatori buddisti tibetani esperti e trasversali (N = 15) e novizi (N = 15)


Longitudinale, IBMT, controllo attivo (allenamento al rilassamento) (N = 23 per gruppo)
Maggiore attivazione dell’insula anteriore e accoppiamento alterato tra PFC dorsomediale e insula posteriore durante l’attenzione interocettiva alle sensazioni respiratorie.

Attivazione dell’insula migliorata quando vengono presentati suoni emotivi durante la meditazione della compassione



Maggiore attività dell’insula sinistra allo stato di riposo
52

128






23
Striato
(regolazione dell’attenzione e
regolazione emozionale)

Longitudinale, IBMT, controllo attivo (allenamento al rilassamento) (N = 23 per gruppo)


Meditatori esperti e trasversali (N = 34) e controlli (N = 44)
Maggiore attività del caudato e del putamen allo stato di riposo





Minore attivazione nel nucleo caudato durante l’anticipazione della ricompensa
23






106
Amigdala
(elaborazione emotiva)
Allenamento longitudinale, attenzione consapevole (N = 12), allenamento alla compassione (N = 12) e controllo attivo (N = 12)

Pazienti longitudinali, non controllati, con disturbo d’ansia sociale prima e dopo MBSR (N = 14)


Meditatori Zen trasversali, principianti (N = 10) ed esperti (N = 12)
Diminuzione dell’attivazione dell’amigdala destra in risposta a immagini emotive in uno stato non meditativo


Diminuita attività dell’amigdala dorsale destra durante la reazione a dichiarazioni negative di fiducia in se stessi



Downregulation dell’amigdala sinistra durante la visione di immagini emotive in uno stato consapevole nei meditatori principianti ma non esperti
93

83






95
Studi esemplari per ciascuna regione che supportano il suo coinvolgimento nella mindfulness (l’elenco non è completo). La ricerca futura dovrà testare le funzioni ipotizzate mettendo in relazione i risultati comportamentali e di neuroimaging. ACC, corteccia cingolata anteriore; IBMT, allenamento integrativo corpo-mente; MBSR, riduzione dello stress basata sulla mindfulness; PCC, corteccia cingolata posteriore; PFC, corteccia prefrontale. *I meditatori mostrano valori aumentati, se non diversamente specificato.

Decodificare gli stati mentali. 

Gli approcci alla meditazione mindfulness possono essere suddivisi in quelli che coinvolgono l’attenzione focalizzata e quelli che implicano il monitoraggio aperto. Anche all’interno dello stesso stile di meditazione, i praticanti possono trovarsi in fasi diverse della pratica della consapevolezza. Lo studio della distinzione tra queste diverse fasi in termini di funzione cerebrale richiederà nuovi strumenti e metodi avanzati. Ad esempio, la registrazione simultanea a più livelli – utilizzando la fMRI e l’elettrofisiologia – potrebbe fornire informazioni su come il cervello e il corpo interagiscono per supportare la pratica della meditazione. Il feedback dell’elettroencefalografia è stato utilizzato per aiutare l’allenamento e lo studio della meditazione fornendo ai praticanti informazioni sulle onde cerebrali che stanno producendo. Allo stesso modo, la fMRI in tempo reale è stata utilizzata per fornire ai soggetti un feedback sull’attività cerebrale che stanno producendo e consente allo sperimentatore di esaminare il dolore, il controllo cognitivo, la regolazione delle emozioni e l’apprendimento della meditazione.

Questa tecnica di registrazione dinamica e feedback può aiutare ad addestrare i soggetti in modo efficace e consentire la decodificazione dei loro stati mentali nelle diverse fasi dell’allenamento alla mindfulness dalla loro attività cerebrale, possibilmente applicando tecniche come l’analisi dei modelli multivariati9.
Le interpretazioni dei risultati degli studi rimangono provvisorie finché non sono chiaramente collegate a resoconti soggettivi o risultati comportamentali. Gli studi futuri dovrebbero quindi tracciare sempre più connessioni tra i risultati comportamentali e i dati di neuroimaging utilizzando le analisi multilivello avanzate sopra menzionate.

Indagare le differenze individuali. 

Le persone rispondono alla meditazione mindfulness in modo diverso. Queste differenze possono derivare da differenze caratteriali, di personalità o genetiche. Studi in altri campi hanno suggerito che i polimorfismi genetici potrebbero interagire con l’esperienza per influenzare il successo dell’allenamento. Poiché la meditazione mindfulness influenza l’attivazione e la connettività dell’ACC, della PFC e di altre regioni cerebrali coinvolte nel controllo cognitivo e nella regolazione delle emozioni, potrebbe essere utile esaminare questi polimorfismi per determinare la loro possibile influenza sul successo della pratica meditativa.

Inoltre, è probabile che le differenze individuali nella personalità, nello stile di vita, negli eventi della vita e nelle dinamiche formatore-allievo abbiano un’influenza sostanziale sugli effetti della formazione, sebbene si sappia poco su queste influenze. L’umore e la personalità sono stati utilizzati per prevedere la variazione individuale nel miglioramento delle prestazioni creative in seguito alla meditazione consapevole.

Catturare le differenze di temperamento e personalità può servire a predire il successo nell’allenamento alla consapevolezza, perché diversi tratti di temperamento e personalità sono associati a diversi modelli elettroencefalografici e variabilità della frequenza cardiaca nei meditatori Zen.

Applicazione clinica. 

I deficit di autoregolazione sono associati a diversi problemi comportamentali e disturbi mentali, come un aumento del rischio di fallimento scolastico, disturbo da deficit di attenzione, ansia, depressione e abuso di droghe. Risultati convergenti indicano che la meditazione mindfulness potrebbe migliorare gli esiti negativi derivanti da deficit di autoregolazione e potrebbe di conseguenza aiutare le popolazioni di pazienti affetti da malattie e anomalie comportamentali. Numerosi studi clinici hanno esplorato gli effetti della meditazione mindfulness su disturbi quali depressione, ansia generalizzata, dipendenze, disturbi da deficit di attenzione e altri, e hanno iniziato a stabilire l’efficacia della pratica della mindfulness per queste condizioni. Solo pochi studi recenti, tuttavia, hanno indagato i cambiamenti neuroplastici alla base di questi effetti benefici della mindfulness nelle popolazioni cliniche. Sebbene questi studi siano promettenti, il lavoro futuro dovrà replicare ed espandere i risultati emergenti per personalizzare in modo ottimale gli interventi per l’applicazione clinica.

Conclusioni

L’interesse per l’indagine psicologica e neuroscientifica della meditazione mindfulness è aumentato notevolmente negli ultimi due decenni. Come è relativamente comune in un nuovo campo di ricerca, gli studi soffrono di una bassa qualità metodologica e si presentano con interpretazioni speculative post-hoc. La conoscenza dei meccanismi che stanno alla base degli effetti della meditazione è quindi ancora agli inizi. Tuttavia, ci sono prove emergenti che la meditazione mindfulness potrebbe causare cambiamenti neuroplastici nella struttura e nella funzione delle regioni cerebrali coinvolte nella regolazione dell’attenzione, delle emozioni e dell’autoconsapevolezza. Ulteriori ricerche devono utilizzare progetti di ricerca longitudinali, randomizzati e controllati attivamente e campioni di dimensioni più ampie per far avanzare la comprensione dei meccanismi della meditazione consapevole per quanto riguarda le interazioni di complesse reti cerebrali e devono collegare i risultati neuroscientifici con i dati comportamentali. Se supportata da rigorosi studi di ricerca, la pratica della meditazione mindfulness potrebbe essere promettente per il trattamento dei disturbi clinici e potrebbe facilitare la coltivazione di una mente sana e un maggiore benessere.

Riquadro 4 | Meditazione consapevole e stress  La riduzione dello stress potrebbe essere un potenziale mediatore degli effetti della pratica della mindfulness sulla funzione neurale. È stato dimostrato che la meditazione mindfulness riduce lo stress; questo è documentato in modo più coerente nei dati auto-riferiti. Una revisione degli studi sulla riduzione dello stress basata sulla mindfulness (MBSR) ha mostrato un effetto non specifico sulla riduzione dello stress, che è simile a quello dell’allenamento di rilassamento standard. Tuttavia, i risultati degli studi che hanno esaminato i biomarcatori dello stress, come i livelli di cortisolo, sono meno coerenti: cambiamenti nei livelli di cortisolo sono stati riscontrati in associazione con l’allenamento alla mindfulness in alcuni studi, ma non in altri.  Il cervello è un bersaglio per lo stress e gli ormoni legati allo stress. Subisce un rimodellamento funzionale e strutturale in risposta allo stress in un modo che è adattivo in circostanze normali ma può portare a danni quando lo stress è eccessivo. Le prove suggeriscono che la vulnerabilità alla plasticità cerebrale indotta dallo stress è prominente nella corteccia prefrontale (PFC), nell'ippocampo, nell'amigdala e in altre aree associate ai ricordi legati alla paura e ai comportamenti di autoregolazione. Le interazioni tra queste regioni del cervello determinano se le esperienze di vita portano ad un adattamento riuscito o ad un disadattamento e ad una compromissione della salute mentale e fisica. Uno studio ha dimostrato che lo stress cronico induce una minore flessibilità nello spostamento dell’attenzione nei roditori e nell’uomo adulto. Ciò è stato accompagnato da una riduzione dell’arborizzazione dendritica apicale nella PFC mediale dei roditori (in particolare, nella corteccia cingolata anteriore) e da un minor numero di connessioni PFC  feedforward10 (cioè con flusso in avanti) negli esseri umani sotto stress, effetti che vengono ripristinati  quando il fattore di stress è stato rimosso. Ciò suggerisce che gli effetti dello stress psicosociale cronico sulla funzione PFC e sulla connettività sono plastici e possono cambiare rapidamente in funzione dello stato mentale. Gli studi hanno inoltre dimostrato che lo stress da moderato a grave sembra aumentare il volume dell'amigdala ma ridurre il volume della corteccia prefrontale anteriore e dell'ippocampo. Tuttavia, è stato dimostrato che l’allenamento alla consapevolezza migliora la densità della materia grigia nell’ippocampo. Inoltre, dopo l’allenamento alla consapevolezza, la riduzione dello stress percepito è correlata alla riduzione della densità della materia grigia dell’amigdala. Questi risultati suggeriscono che la meditazione consapevole potrebbe essere una potenziale strategia di intervento e prevenzione. Pertanto, è possibile che la meditazione consapevole riduca lo stress migliorando l’autoregolazione, il che aumenta la neuroplasticità e porta a benefici per la salute. Va notato che la meditazione consapevole potrebbe anche modulare direttamente l’elaborazione dello stress attraverso un percorso “dal basso verso l’alto”, attraverso il quale altera gli assi simpatico-surrene-midollare e ipotalamo-ipofisi-surrene aumentando l’attività nel sistema nervoso parasimpatico; quindi, la meditazione consapevole potrebbe prevenire le risposte allo stress di tipo “lotta o fuga” del sistema nervoso simpatico. In effetti, alcune ricerche hanno suggerito che la consapevolezza porta ad una maggiore attività del sistema nervoso parasimpatico. Il fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF) è stato collegato a numerosi aspetti della plasticità nel cervello. Il rimodellamento indotto dallo stress del PFC, dell'ippocampo e dell'amigdala coincide con i cambiamenti nei livelli di BDNF, supportando il suo ruolo come fattore trofico che modula la sopravvivenza neuronale e regola la plasticità sinaptica. Tuttavia, è stato dimostrato che i glucocorticoidi e altre molecole agiscono insieme al BDNF per facilitare i cambiamenti sia morfologici che molecolari. Poiché è stato scoperto che alcune forme di allenamento alla meditazione consapevole riducono la secrezione di cortisolo indotta dallo stress, ciò potrebbe potenzialmente avere effetti neuroprotettivi aumentando i livelli di BDNF e la ricerca futura dovrebbe esplorare questa possibile relazione causale.
  1. Studi longitudinali
    Disegni di studio che confrontano i dati di uno o più gruppi in diversi momenti e che idealmente includono una condizione di controllo (preferibilmente attiva) e un’assegnazione casuale alle condizioni.
    Studi trasversali
    Disegni di studio che confrontano i dati di un gruppo sperimentale con quelli di un gruppo di controllo in un determinato momento. ↩︎
  2. Studi correlazionali
    Studi che valutano la co-variazione tra due variabili: ad esempio, la co-variazione delle proprietà funzionali o strutturali del cervello e una variabile comportamentale, come lo stress riportato. ↩︎
  3. Contrasti dipendenti dal livello di ossigeno nel sangue
    (contrasti in GRASSETTO). Segnali che possono essere estratti con la risonanza magnetica funzionale e che riflettono la variazione della quantità di deossiemoglobina indotta da cambiamenti nell’attività dei neuroni e delle loro sinapsi in una regione del cervello. I segnali riflettono quindi l’attività in una regione cerebrale locale. ↩︎
  4. Etichettatura dello spin arterioso
    (ASL). Una tecnica MRI in grado di misurare il flusso sanguigno cerebrale in vivo. Fornisce mappe di perfusione cerebrale senza richiedere la somministrazione di un agente di contrasto o l’uso di radiazioni ionizzanti perché utilizza acqua del sangue endogeno marcata magneticamente come tracciante liberamente diffusibile. ↩︎
  5. Anisotropia frazionaria
    Un parametro nell’imaging del tensore di diffusione, che immagina le strutture cerebrali misurando le proprietà di diffusione delle molecole d’acqua. Fornisce informazioni sull’integrità microstrutturale della sostanza bianca. ↩︎
  6. Diffusione assiale e radiale
    Derivate dagli autovalori del tensore di diffusione, le loro proprietà biofisiche sottostanti sono associate rispettivamente alla densità assonale e alla mielinizzazione. ↩︎
  7. Stato del cervello
    I modelli affidabili di attività cerebrale che implicano l’attivazione e/o la connettività di più reti cerebrali su larga scala. ↩︎
  8. Meta-analisi sulla stima della probabilità di attivazione
    Una tecnica per la meta-analisi basata su coordinate dei dati di neuroimaging. Determina la convergenza dei foci riportati da diversi esperimenti, ponderati in base al numero di partecipanti in ciascuno studio. ↩︎
  9. Analisi di modelli multivariati
    Metodo di analisi dei dati MRI funzionali in grado di rilevare e caratterizzare le informazioni rappresentate in modelli di attività distribuiti all’interno e attraverso più regioni del cervello. A differenza degli approcci univariati, che identificano solo l’entità dell’attività in parti localizzate del cervello, questo approccio può monitorare più aree contemporaneamente. ↩︎
  10. Le feed-forward sono le reti neurali,dove ogni input ed il relativo output si muovono in una sola direzione, ovvero non sono presenti cicli o connessioni a ritroso, né tantomeno tra nodi dello stesso livello.  ↩︎