I fattori di stress nella pallavolo

La pallavolo in quanto sport di squadra e di situazione, a forte componente tecnico-tattica, presenta molti fattori di stress, che possono avere un andamento e un esisto positivo o negativo in funzione dell’interazione che si verifica tra le diverse variabili in gioco, sul versante ecologico/situazionale e su quelli psicofisico-individuale e interpersonale.

In particolare, la pallavolo è una disciplina sportiva:

  • con una struttura e una processualità ciclica: è contraddistinta da una ricorsività di situazioni tattiche e tecniche;
  • a open skills : le informazioni in continua e rapida variazione sono una funzione dell’azione dei compagni e di quella degli atleti della squadra avversaria; il che richiede flessibilità e alta reattività attentive, rapidità di processamento delle informazioni e modulazione retroattiva dei piani comportamentali;
  • importanza dell’aspetto tattico-strategico: che richiede e sollecita uno stile attentivo fluttuante. In alcuni momenti l’attenzione sarà rivolta alla gara con focus attentivo prevalentemente ampio ed esterno (es. gestire le dinamiche contingenti di gioco per ottenere il risultato), in altri sarà orientata alle proprie sensazioni propriocettive e cinestesiche e ai propri gesti, con focus interni ristretti;
  • di squadra: la prestazione risente dell’interazione tra le strategie di gioco del singolo, dei compagni di squadra e degli avversari. Sono, dunque, importanti, per il raggiungimento di una performance efficace, caratteristiche quali la coesione, il clima e la cultura di gruppo, le motivazioni individuali, la leadership; le consegne organizzative (la società di appartenenza);
  • giocata da squadre interagenti, in quanto la meta comune e competitiva (fare punto sulla squadra avversaria) è raggiunta con l’impegno coordinato dei giocatori.

Cerchiamo di focalizzare quali possano essere i potenziali stressor nell’attività agonistica di un atleta e di una squadra.

POTENZIALI STRESSOR

 INDIVIDUALI
 Livello tecnico (prevalente determinazione tattico-situazionale): implica la gestione contemporanea di differenti richieste ambientali, diversi gradi di responsabilità e la messa in opera simultanea e consecutiva di più abilità
 Ruolo in campo (attaccante/difensore/alzatore).
 Ruolo nella squadra (titolare, turnover, panchina.)
 Ruolo nel “gruppo – squadra” (es. leader, capitano)
 Supporto sociale: – Da parte dello staff e della famiglia
 Caratteristiche psicologiche: stile cognitivo, il controllo percepito, il sostegno sociale percepito, , lo stile attribuzionale, lo stile di problem solving, la motivazione intrinseca e alla riuscita, l’impegno, la reattività emozionale, l’ottimismo/pessimismo.

Nelle dinamiche di gioco l’atleta è chiamato a orientare e modulare con flessibilità l’attenzione sulle fasi separate del processo di esecuzione di un‘azione, processando simultaneamente e in parallelo gli stimoli ambientali, le informazioni propriocettive e cinestesiche e il feedback sullo svolgimento della prestazione. In base alla teoria dello sforzo mentale (Kanheman,1973) la risposta a più impegni può comportare un decremento nella qualità della performance, anche se tale inflessione dipende anche dalle caratteristiche del compito e dalla stima ostacoli/risorse ambientali. Se la persona percepisce uno squilibrio, intenso, frequente e/o prolungato, tra le richieste ambientali e interne, soverchianti, e le proprie capacità e risorse, ne può risultare una condizione di mobilitazione psicofisica massiva di energie e strategie di coping che, se inadeguate e inefficaci, provocano affaticamento mentale, ansia, rabbia e manovre elusive, che sfociano in una situazione di stress con rischio di burnout.

La risposta personale agli stressors è fortemente condizionata dalla mediazione cognitivo/emotiva operata dal soggetto (stile cognitivo/emotivo).

Lo stress si correla, infatti, con caratteristiche individuali dell’atleta: per esempio un’elevata ansia di tratto competitiva (Martens, 1977; Martens, Vealey e Burton,1990), unita a bassa autostima (Brustad, 1988) e scarsa motivazione intrinseca possono avere risvolti negativi. Inoltre, l’esperienza di frequenti insuccessi sportivi, uniti a modalità attributive dei risultati negativi caratterizzate da locus interno e più in generale uno stile attribuzionale prevalentemente esterno, stabile e globale, e quando interno, accompagnato da un senso di non controllabilità, di stabilità temporale e situazionale e di intenzionalità (Weiner 1972, 1979, 1985,1986) riducono il senso di autoefficacia (Bandura, 1977), di motivazione intrinseca (Deci, 1975; Frederick e Ryan, 1995) e di autostima (Harter, 1982)

Lo stress troppo intenso e prolungato provoca burnout, – risultato non tanto dello stress, ma di quella sensazione di hopelessness (di perdita della speranza) e di essere senza via di uscita (Lazarus, 1991), causa di danni psicofisici e comportamentali.

DI SQUADRA:

 variazione del focus attentivo: in direzione (es.passaggio della palla a un compagno, seguire lo schema di gioco) e in intensità (es. situazione di attacco o di difesa).

 Goal Setting: programmazione di obiettivi a breve (es. affrontare una partita alla volta), medio (es. aggiudicarsi il girone di andata) e lungo termine (es. vincere il campionato). La prestazione aumenta quando gli obiettivi sono moderatamente difficili per i seguenti tre fattori. Il primo si riferisce al rapporto tra abilità e obiettivo: se un atleta valuta di non essere sufficientemente in grado di raggiungerlo, difficilmente sarà motivato a impegnarsi in un’attività frustrante (es. la squadra si presenta a una gara con la prima in classifica senza alcuni giocatori importanti infortunati o malati); il secondo riguarda la relazione fra difficoltà dell’obiettivo e una dimensione psicologica, la fiducia in sé stesso o self efficay (Bandura, 1977). Pertanto, l’autoefficacia influenza direttamente la percezione della difficoltà del compito, la motivazione, il livello di aspirazione e la successiva prestazione. Il terzo fattore fa riferimento agli obiettivi troppo facili e poco incentivanti (es.confronto con una squadra nettamente inferiore), che inducono demotivazione.
 La situazione di interdipendenza: il risultato e la qualità della a prestazione dipende non dal contributo isolato dei singoli, ma dal gioco interattivo dei compagni di squadra e degli avversari. La percezione della condizione di dipendenza reciproca e dalla situazione contingente può essere fonte di forti dinamiche conflittuali e di ansia.
 Clima organizzativo della società: comunicazione e organizzazione tra i membri dello staff e tra questi e la dirigenza
 Pressioni esterne: da parte dei famigliari, degli sponsor, dei tifosi,dei mass media, della società in generale.

 Stressors ambientali:

 Caratteristiche fisiche della palestra: temperatura, luce, dimensioni complessive dell’area di gioco.
 Carichi di lavoro: – es. allenamento aerobico e anaerobico

DERIVANTI DALLA PARTITA
 Partita importante: finale, lotta per la salvezza, qualificazioni, sono partite in cui è necessario ottenere un ottimale livello d’ansia ( arousal.) In queste occasioni difficilmente si riesce a controllare la paura e l’eccitazione (es. una schiacciata sbagliata in un momento cruciale può essere dovuta all’incapacità di controllare le proprie azioni).
 Trasferimenti e trasferte: -la qualità del viaggio, l’incognita del campo avversario, i tifosi al seguito e avversari.

Tali fattori di stress possono provocare nell’atleta una serie di sintomi psicofisici (es. ansia, depressione, demotivazione, isolamento dal gruppo-squadra, affaticamento e tensione muscolare) e comportamentali (disturbi alimentari, alterazione del ciclo sonno-veglia, difficoltà di concentrazione, fumo, alcool e uso di sostanze dopanti), a loro volta destinati a causare scarso rendimento, conflitti in squadra, assenteismo, burnout, tendenza all’infortunio e dropout.

Tra le cause di bornout vi sono: alta conflittualità emotiva soprattutto se prolungata, overtraining, noia da eccessiva ripetizione dei gesti motori, esaurimento fisico con insufficiente tempo di recupero, perdita di motivazione intrinseca.

La sintomatologia più ricorrente dei casi di atleti con diagnosi di sindrome di Burnout è la seguente:
 Scadimento della prestazione (es. difficoltà di concentrazione, scarsa flessibilità del focus attentivo, mancanza di adeguato controllo sensomotorio, confusione relativa agli schemi di gioco etc.)
 Disagio psicofisico ( riduzione di autostima e self efficacy, deterioramento dell’immagine di sé, disturbi alimentari, alterazione del ritmo sonno-veglia, tendenza all’infortunio in allenamento e in partita etc.).
In determinate occasioni questi disturbi possono favorire l’abbandono della pratica sportiva (fenomeno del dropout) vista come unica via d’uscita.

EUSTRESS, DISTRESS E FLOW

Gli attuali orientamenti, prevalenti nell’ambito della psicologia clinica dello sport, tendono a privilegiare un approccio teoretico ed operativo finalizzato all’ottimizzazione delle strategie di coping (gestione ottimale delle risorse disponibili, personali e ambientali in relazione ai compiti/richieste da affrontare).

L’assunto alla base di questa opzione teorica e clinica è che la qualità della performance agonistica è il risultato dell’interazione circolare tra lo stile cognitivo-emozionale del soggetto e le caratteristiche dell’ambiente. L’interesse si è quindi spostato dallo studio della prestazione, della personalità e degli aspetti motivazionali, considerati separatamente, ad un approccio sempre più sistemico all’atleta considerato nel suo contesto di vita e agonistico. Ciò ha portato all’elaborazione di tecniche mirate al miglioramento della prestazione agonistica (Singer, 1984; Unesthal, 1987, Swinn, 1986).

Il modello d’intervento è così andato orientandosi da quello tradizionale di “counseling psicoterapeutico” ad uno finalizzato all’ottimizzazione del rendimento.

All’interno di questo nuovo paradigma di ricerca, si inserisce l’interesse teorico ed applicativo, per lo stato di “flow” (“esperienza ottimale”, teoria del flusso di coscienza, Csikszentmihalyi 1975).

Esso, in quanto stato soggettivo positivo e gratificante, riveste un ruolo centrale nello sviluppo del comportamento e nell’evoluzione del sé (Massimini et al., 1996). Si identifica con il momento in cui l’atleta è coinvolto a tal punto nel gesto agonistico, da escludere dalla mente qualsiasi altra cosa.
E’ reso possibile dalla completa fusione tra azione e coscienza (“immersione” nella situazione attuale), in una situazione di completo investimento delle risorse attentive sull’attività in atto ed è caratterizzato da regole interne chiare (mete esplicite, precisa gerarchia di obiettivi, rapporto funzionale tra mezzi-fini) e feedback immediati. L’equilibrio tra le richieste della situazione e le capacità/risorse personali percepite favoriscono l’insorgenza del flow. Il senso di equilibrio interno e di sintonia ambientale che ne deriva induce l’individuo a ricercare e potenziare i vissuti positivi sperimentati.

Dalle ricerche emerge che l’esperienza ottimale risulta essere condizione predisponente per il raggiungimento della peak performance (“prestazione eccellente”, Berger e Mc.Inman 1993). In altre parole maggiormente l’atleta riesce ad esperire e mantenere le condizioni di flow, più tendono ad aumentare le probabilità di conseguire risultati di peak performance- che a loro volta si ripercuotono positivamente sulle possibilità future di produrre prestazioni agonistiche eccellenti.

Inoltre, da alcune delle ricerche condotte nel campo, è emerso che alcuni fattori emotivo-cognitivi risultano costanti e basilari nella genesi e nello sviluppo dello stato di esperienza ottimale, al di là delle caratteristiche dello stato di flow sport-specifiche.

I dati emersi, sebbene relativi a discipline differenti, hanno fornito interessanti indicazioni per l’impostazione delle fasi di preparazione ed allenamento in un’ottica preventiva rispetto a stress, rendimento sportivo e ciclo negativo.

Si tratta, infatti, di impostare il lavoro in maniera tale da favorire lo sviluppo e il potenziamento di quelle caratteristiche cognitive motivazionali ed emotive che contraddistinguono lo stato di flow (chiarezza degli obiettivi, unione tra azione e coscienza, soddisfazione intrinseca all’attività, equilibrio tra difficoltà della sfida e abilità individuali).

L’equilibrio tra sfida ed abilità (difficoltà del compito adeguate alle capacità dell’atleta) e la pianificazione per obiettivi sul breve, medio e lungo periodo (mete chiare) possono favorire il massimo investimento delle risorse dell’atleta sull’attività (unione tra azione e coscienza).

Inoltre, l’esperienza prolungata di piacere intrinseco, legato all’attività (percezione autotelica), funge da risorsa altamente motivante. L’atleta evolve così in un continuo processo di crescita, basato su progressivi miglioramenti ed aggiustamenti rispetto agli obietti e al livello di complessità e difficoltà delle sfide.

L’interesse legato a tali componenti non si esaurisce nel campo della pianificazione di adeguate strategie di preparazione e allenamento dal punto di vista atletico e tecnico- tattico, ma si estende all’ambito della programmazione e impostazione delle tecniche di preparazione mentale (mental training”; Haase, Hansel 1995).
La conoscenza di specifici aspetti legati alla percezione, alla cognizione e reattività emotiva individuale nei momenti di flow e peak performance consente di individuare quali fattori siano funzionali al successo sportivo.
Ovviamente, ogni modello di intervento che miri ad essere efficace dovrà prevedere degli strumenti diagnostici di rilevazione e monitoraggio costante dei fattori cognitivi-emotivi individuali, delle variabili interpersonali e ambientali che si ritiene giochino un ruolo cruciale nel rendimento agonistico personale e di squadra.

Il MENTAL TRAINING

Il “Mental Training” può essere definito come un programma articolato di allenamento mentale, composto da diverse tecniche selezionate in base alla specificità del compito, degli obiettivi da raggiungere e delle caratteristiche di personalità dell’individuo (Haase, Hansel 1995). I più recenti interventi di mental training si basano sul modello cognitivo-comportamentale (Unesthal 1986; Singer 1986, 1988), mirato alla considerazione di aspetti strutturali (analisi e rispetto della organizzazione psicologica specifica di una persona), funzionali (ottimizzazione dei processi di elaborazione delle informazioni nel sistema cognitivo) e psicofisiologici (modulazione della reattività psicofisica e ottimizzazione del livello di arousal, cioè attivazione, in condizioni di criticità, ansia o stress).

Un programma di preparazione mentale, teso allo sviluppo delle abilità necessarie per il controllo e l’ottimizzazione della performance, può essere composto dai seguenti elementi operativi:

 Screening psicodiagnostico, mirato alla valutazione delle caratteristiche psicologiche generali e dello stile cognitivo dell’atleta. Lo scopo è quello di individuale le risorse e i vincoli di coping di quell’individuo, di evidenziare o escludere la presenza di tratti o sintomi patologici manifesti o latenti e di fornire indicazioni circa le capacità attentive e mnemoniche, visuo-immaginative, nonché relativamente allo stile cognitivo preferenziale.

 Pensiero positivo e Goal Setting, acquisizione della self-confidence, della capacità di utilizzare pensieri positivi (“ristrutturare, rifocalizzare e ridirigere”, Yates, 1994) e della programmazione di obiettivi a breve, medio e lungo termine con lo scopo di incrementare nell’atleta la motivazione intrinseca e non solo quella estrinseca, cioè la tendenza al successo (Atkinson) .

 Training propriocettive: in base allo stile percettivo-cognitivo dell’atleta, si mira a valorizzare e potenziare le modalità di rapporto con il proprio corpo, favorendo la progressiva acquisizione delle capacità di concentrazione e presa di coscienza somatica. L’obiettivo è quello di portare l’atleta ad apprendere e affinare gradualmente le capacità di autopercezione e monitoraggio della propria funzionalità corporea e operativa (Martens, 1993).

 Concentrazione: modulazione dello stile attentivo al fine di orientare e mantenere l’attenzione sugli elementi critici del gioco, escludendo gli stimoli esterni o interni che possono fungere da distrattori (Schmid, Paper, 1986).

 Rilassamento: controllo del livello di attivazione al fine di gestire stati d’ansia e di tensione psicofisica. Nel training si abbinano esercizi di contrazione-decontrazione muscolare e di modulazione del ritmo respiratorio, per l’acquisizione della consapevolezza e del controllo del proprio corpo (Jacobson, 1983)

 Visualizzazione: rappresentazione immaginativa di situazioni tipiche di gioco. Simulazione mediante immagini mentali polisensoriali e immersive (Corbin, 1972)

 Self-talk: dialogo interno mediante parole stimolo (”promemoria psicologico”, Yates 1994) mirate a favorire nell’atleta l’ottimizzazione della modalità di affrontare specifiche situazioni ed eventuali problemi intervenenti. L’obiettivo consiste nel focalizzare l’attenzione su aspetti chiave del compito ed evocare volontariamente stati psicologici positivi e produttivi, comportando una percezione di autocontrollo e di autoinduzione emotiva, che promuove il senso di self-efficacy.

 Autonomizzazione delle strategie: capacità di autoinduzione e controllo delle tecniche precedentemente apprese.

 Valutazione: accertamento dei risultati raggiunti e della validità del programma realizzato.

Intervento presentato al Convegno Lo stress nel lavoro di squadra . Tecniche attuali e prospettive future – 
San Pellegrino Terme, 17 novembre 2002