Legami tra attaccamento e Resilienza

Le ricerche condotte nel corso degli ultimi quarant’anni sui diversi stili di attaccamento hanno evidenziato che gli adulti con uno stile di attaccamento sicuro manifestano una maggiore resilienza allo stress, agli eventi disturbanti della vita e alle esperienze traumatiche di quelli con attaccamento insicuro.

L’adulto sicuro tende ad avere rapporti che lo sostengono e lo mettono al riparo dallo stress (Bowlby, 1988), ed è in grado di riflettere sul suo stato interiore e di elaborare emozioni senza esserne sconvolto (Fonagy, 2000; van der Kolk 1996).

Lo stile di attaccamento che un adulto mostra nelle proprie relazioni affettive è l’esito della graduale interiorizzazione ed elaborazione delle esperienze quotidiane e ripetute con le sue figure importanti di riferimento nella prima  e seconda infanzia e anche nell’adolescenza.

Nell’infanzia un bambino riesce a costruire un attaccamento sicuro con le sue figure accuditive, caregiver,  quando sviluppa la capacità di ottenere vicinanza e ricevere cure, di essere rassicurato e confortato dalla figura di accudimento. Le figure di accudimento dei bambini sicuri dimostrano sintonia emotiva, reattività e sollecitudine (Solomon e George, 1999), tre requisiti importanti che si esplicano in: percezione accurata dei segnali espliciti e delle comunicazioni implicite del bambino, interpretazione corretta dei segnali percepiti, sintonizzazione affettiva (condivisione empatica), risposta comportamentale, ossia prontezza e appropriatezza della risposta, completezza della risposta e costanza (prevedibilità).

Schore (1996) spiega che il cervello organizzato della madre si sincronizza o si armonizza con quello disorganizzato del bambino, attraverso la sintonia, evitando in quest’ultimo un eccessivo arousal dovuto a disagio o eccitazione. Ne consegue che il cervello del bambino sviluppa dei circuiti ottimali per la modulazione delle emozioni e, attraverso l’esperienza, il bambino impara a fidarsi e a essere confortato, nonché a confortare sé stesso. Il suo senso fondamentale di sicurezza e di fiducia lo rafforza man mano che comincia ad allontanarsi dai suoi genitori e a esplorare il mondo.

Al contrario, quando il genitore ha un attaccamento insicuro (distanziante – DS – o preoccupato – E) o irrisolto (U), a causa di traumi irrisolti, con comportamenti dunque inadeguati, contraddittori e/o incostanti,  il cervello del bambino non ha la possibilità di sviluppare i circuiti di automodulazione idonei.

Crescendo il bambino non sarà in grado di riflettere sul suo stato interiore o di gestire emozioni intense (Fonagy, 2000; van der Kolk, 1996). La sua mancanza di un collegamento sicuro nel mondo lo lascia con una sensazione di solitudine, indegnità e vulnerabilità e privo delle risorse riflessive ed emotive necessarie per affrontare gli alti e bassi della vita.

Ironicamente, i problemi che ostacolano la capacità del bambino o dell’adulto di gestire lo stress o il trauma interferiscono anche con la sua capacità di accedere e usare la terapia per curarsi.

I pazienti che migliorano più rapidamente, con qualsiasi tipo di terapia, sono quelli in grado di identificare e verbalizzare le loro sensazioni, di concedersi di provare emozioni senza essere sconvolti, di provare compassione per sé stessi e sicurezza nella loro capacità di superare i problemi e di essere in grado di fidarsi e di ottenere conforto dal rapporto terapeutico.

I pazienti non in grado di rispecchiare o gestire le loro emozioni, o che si sentono indegni e incapaci di fidarsi, hanno sviluppato molte difese nocive, che li hanno aiutati a sopravvivere ma che ora ostacolano la terapia. Per esempio, i comportamenti naturali di coping possono comprendere la dissociazione, l’eccessiva verbalizzazione di aspetti poco importanti, la regressione a uno stato di impotenza infantile in terapia o semplicemente il mancato rispetto degli appuntamenti. Gli obiettivi iniziali in terapia tendono quindi ad aiutare il paziente a superare questi blocchi e a rafforzare le sue capacità di automodulazione, riflessione interiore e di fiducia.

Lo stile di attaccamento adulto più patologico, denominato “irrisolto”, si riferisce a perdite non risolte di attaccamento o a traumi non risolti all’interno di rapporti precoci di attaccamento. Questi adulti hanno un “modello operativo interiore” negativo, cioè una rappresentazione interiore negativa di sé stessi, degli altri e delle relazioni tra sé e gli altri.

Tuttavia, alcuni adulti con esperienze di attaccamento infelici nell’infanzia, riescono comunque a raggiungere uno stile di attaccamento sicuro in età adulta. Questi adulti sono stati identificati con uno stile di attaccamento “sicuro acquisito”. Essi sono in grado di raccontare una storia coesa e coerente della loro infanzia, compresi i ricordi infelici, con emozioni appropriate e senza dissociazione (Hesse, 1990). Si ipotizza che gli adulti sicuri acquisiti siano in qualche modo riusciti a trovare l’appoggio necessario per superare le esperienze disturbanti del loro passato e arrivare a risolverle.

Gli adulti il cui stile di attaccamento rimane “irrisolto” hanno difficoltà a mantenere rapporti di attaccamento sani in età adulta. Le immagini, emozioni, convinzioni e sensazioni negative immagazzinate nelle reti neurali insieme ai ricordi traumatici relativi all’attaccamento nell’infanzia, sono attivate dalla vicinanza, nelle relazioni attuali, di adulti, che interferiscono con le loro sensazioni di sicurezza e di fiducia.

Inoltre hanno difficoltà a tranquillizzarsi, a saper rassicurarsi e confortarsi nei momenti di angoscia e di disagio o di tristezza, delusione e frustrazione, a provare compassione per sé stessi, ad avere consapevolezza della loro importanza nel proprio processo di guarigione, in altre parole consapevolezza e   fiducia nelle proprie risorse emotive e cognitive.

Infine, in terapia, questi stessi adulti possono esperire i cambiamenti comportamentali, soprattutto i cambiamenti che richiedono il parlare in modo più assertivo, l’avere miglior cura di sé o il concedersi il permesso di divertirsi, come pericolosi e tali da provocare un’ansia enorme. Tali cambiamenti possono essere percepiti come “cattivi comportamenti” o “infrazioni alle regole”. In queste circostanze può essere utile inquadrare il problema in rapporto a un “contratto di legame” precoce.

Il terapeuta può spiegare al paziente che ogni bambino fin dalla nascita possiede un senso innato della dipendenza della propria vita dai propri genitori, del bisogno che ha di loro per non morire. Pertanto, ogni bambino si concentra sulla creazione di un legame con il genitore in ogni modo possibile, e le leggi inconsce che crea per sé stesso diventano un “contratto di legame” inespresso (Cramer, 1992; Wildwind, 1996), necessario alla sopravvivenza. Più tardi, i tentativi di comportarsi o, talvolta, persino i tentativi di pensare di comportarsi in modo diverso, portano a un’ansia sconvolgente.

Per concedere al paziente il permesso di provare solo a pensare di cambiare il contratto di legame può essere utile guidarlo nella visualizzazione di una “bolla magica” che lo circonda e che si trova “al di fuori dello spazio e del tempo e nella quale non vi sono regole”. Nella bolla il paziente può essere aiutato a stilare un elenco delle regole in base alle quali ha dovuto vivere da bambino. Successivamente, il paziente elenca le nuove regole in base alle quali vorrebbe vivere la sua vita.

Attraverso la valutazione dello stile di attaccamento nelle madri incinte e successivamente nei loro figli, i ricercatori hanno scoperto che lo stile di attaccamento tende a trasmettersi da una generazione all’altra (Lyons-Ruth e Block, 1996). Lo stile di attaccamento più patologico nei bambini, lo stile disorganizzato, sembra essere direttamente correlato a traumi irrisolti e a perdite subite dalla figura di accudimento primaria. Sembrerebbe che la perdita e il trauma irrisolti del genitore portino a gravi distonie e comportamenti suscettibili di spaventare il bambino (Main e Hesse, 1990).

La trasmissione di uno stile di attaccamento insicuro può essere ulteriormente compresa se si esaminano comportamenti specifici di genitori che soffrono di tale disturbo. Per esempio, il genitore che ha appreso a negare i propri bisogni e le proprie emozioni nell’infanzia, può sentirsi ora a disagio in situazioni di intimità e tenere il figlio a distanza. Il genitore che ritiene di essere vergognoso, può vedere il proprio figlio come un’estensione di sé stesso, e proiettare su di lui le sensazioni di vergogna. Il genitore non in grado di tranquillizzarsi può diventare ansioso e incostante quando suo figlio piange, aumentando il disagio di quest’ultimo (Cramer, 1992; Wesselmann, 1998).


Il genitore che ha acquisito insight e risolto i propri traumi può tenere e sostenere emotivamente il proprio figlio mentre quest’ultimo rielabora i suoi traumi. Attraverso la sintonia, il contatto e l’accudimento, un genitore può rafforzare i legami, anche quando questi sono stati danneggiati.